1. Premessa
Negli anni Settanta e Ottanta la via seguita dalla Germania
Ovest nel’affrontare la crisi mondiale rappresentò per altri paesi
industrializzati un esempio la cui imitazione venne raccomandata dalla
stessa OECD. Nel maggio 1997 il presidente della BDI, Olaf Henkel,
dichiarò piuttosto lapidariamente: «Nessuno è più
interessato al nostro modello»[1].
Politici, sindacalisti e studiosi lamentano che le modalità di soluzione
dei problemi tipiche del Modell Deutschland non sono più adeguate
alle nuove sfide[2]. Al punto che
la questione che sembra porsi ora, a otto anni della riunificazione, è
se un sistema di «capitalismo organizzato» come quello tedesco-occidentale
sia ancora in grado di sopravvivere[3].
La risposta rimanda ad almeno due ordini di problemi. Il primo si
presenta come un problema di adattamento esogeno, imposto dalla necessià,
sorta a partire già dalla metà degli anni Settanta, di far
fronte alla competitività internazionale. Questa sfida, di norma
risolta tramite l’innovazione tecnologica, appare più grave nel
nuovo quadro dell’economia mondiale, che sembra ormai aver pregiudicato
la facoltà degli stati nazionali di definire autonomamente, secondo
propri modelli, il rapporto tra stato ed economia. In un’economia rnondializzata,
tendenzialmente priva di vincoli istituzionali, la configurazione specificamente
tedesco-occidentale di tale rapporto, e lo stesso modello di stato sociale
che le era proprio, ha apparentemente perduto i vantaggi di un tempo.
Un’altra sfida, causata invece da fattori endogeni, è quella
risultante dalle conseguenze dell’unificazione tedesca. Il problema è
messo chiaramente in luce da alcuni dati: nel 1991, un anno dopo la riunificazione,
il Pnl annuale pro capite passò da 40.200 DM (RFT 1990) a 36.000
DM[4]. E nella graduatoria economica
della Ocse la Gennania unificata scese, sia pure temporaneamente, al 12°
posto, non molto distante dal 17° che un tempo la RDT aveva (ingiustificatamente)
rivendicato per sè[5]. Oltre agli
spazi di azione in campo economico e finanziario, si sono ristretti anche
quelli politici. Il numero dei Länder che “codeterminano” la politica
del governo federale è aumentato da undici a sedici. Inoltre non
tutte le istituzioni occidentali trasferite nei nuovi Länder funzionano.
Si tratti della direzione macroeconomica, del processo di “edificazione
dell’Est” (Aufbau-Ost) o del coordinamento istituzionale di settori economici,
del finanziamento dell’industria tramite il sistema bancario, della cogestione,
della politica contrattuale, della formazione professionale o di istituzioni
centrali per l'organizzazione della produzione (come il Meistersystem)
molti di questi elementi tradizionali del Modell Deutschland sono stati
messi in discussione o in parte abbandonati nel corso dell’Aufbau-Ost.
La crisi del Modell Deutschland contiene molti aspetti specifici,
e cause altrettanto numerose. Tuttavia, mentre le sfide globali sono
oggetto di analisi ampie e approfondite, specie nel cosiddetto “dibattito
sullo Standort Deutschland”, il ruolo svolto in questa crisi dall’unificazione
del paese viene scarsamente considerato.
Dal punto di vista politico ciò è comprensibile in
quanto avanzare critiche all’unificazione non sembra pagare, come hanno
dimostrato i casi dell’ex presidente della Bundesbank Otto Pöhl e
del candidato cancelliere SPD Oskar Lafontaine durante la campagna elettorale
del 1990. Tutte le principali forze politiche sono ormai talmente coinvolte
nella trasformazione postsocialista della ex- DDR, ehe da queste non ei
si deve aspettare una riflessione critica sull’argomento. La situazione
non pare molto diversa nell’amministrazione in quanto non esiste praticamente
alcun alto funzionario che non sia stato coinvolto personalmente nell’Aufbau-Ost.
Un bilancio del trasferimento di capitali o una valutazione critica della
strategia attuata finora vengono evitati, sia per gli specifici interessi
dei principali attori e sia per timore del confronto con l’opinione pubblica.
Tuttavia rimuovere il possibile “apporto” della riunificazione alla
precaria situazione economica degli anni Novanta conduce facilmente a conclusioni
errate. Vi è una differenza notevole se il modello tedesco-occidentale
fallisce per una tendenza secolare come la globalizzazione oppure per una
svolta storica unica come la riunificazione tedesca. Una diagnosi
errata della crisi sarebbe fatale poiché impedirebbe soluzioni efficaci
dei problemi. E ciò ancor più durevolmente, se l’attenzione
per i fatti storici, a fronte della crisi causata dalla riunificazione
(Vereinigungskrise), si dovesse perdere per motivi di opportunità
politica o per un falso pathos nazionale. Sarebbe addirittura tragico
se elementi istituzionali fondamentali della politica tedesca venissero
abbandonati al declino strisciante a seguito di una crisi la cui soluzione
dipende proprio dalla loro capacità di funzionamento.
A differenza della Vereinigungskrise, i problemi di competitività
intemazionale e dell’adattamento all’economia mondiale non sono per nulla
nuovi. Il modello tedesco-occidentale e modelli simili di partnership sociale
in Svezia, Giappone, Austria, Svezia o Norvegia erano considerati finora
particolarmente efficaci[6]. Se
un modello consensuale sia ugualmente adatto ad affrontare problemi del
tutto diversi, come un deflusso di risorse improvviso, massiccio e, a quanto
pare, pluridecennale, nonché le corrispondenti limitazioni delle
risorse distributive, appare invece dubbio[7].
La profonda cesura storica costituita dalla riunificazione fa quantomeno
emergere la questione se il modello tedesco-occidentale, senza questo singolare
avvenimento, sarebbe stato in grado di risolvere i problemi suscitati dall’andamento
dell’economia mondiale negli anni Novanta. Senza i costi dell’unità
sarebbero state disponibili, per la soluzione ad esempio di problemi di
adattamento economico, risorse distributive addizionali nel campo della
politica sociale per non meno di 700 Mr. DM[8].
Si può supporre che su questa base una strategia di modernizzazione
corporatista nella tradizione del modello consensuale tedesco avrebbe avuto
possibilità di successo maggiori di quante non esistano effettivamente
in seguito alla crisi economica seguita all’unificazione. Se a questa considerazione
si aggiunge l’analisi dei problemi istituzionali di governance nella Germania
Orientale[9], acquista ulteriore plausibilià
la tesi per cui non sono stati in prevalenza problemi esterni a "forzare"
il Modell Deutschland, bensì dilemmi interni della politica di riunificazione[10].
Per verificare questa tesi occorre dapprima analizzare alcuni elementi
fondamentali del modello.
2. Pluralità di concetti e prospettive problematiche
Al termine Modell Deutschland sono stati attribuiti significati diversi
a seconda dei contesti e dei momenti storici. Utilizzato per la prima
volta dalla SPD nel 1976 come slogan elettorale per indicare che il governo
socialliberale aveva gestito meglio di altri le turbolenze economiche seguite
alla prima crisi petrolifera del 1974, verso la fine di quel decennio esso
venne recepito e discusso nell’ambito della sociologia (specie industriale),
della politologia e della scienza politica[11].
Nel corso del dibattito il concetto di Modell Deutschland è
stato definito in almeno tre modi differenti:
Il processo di riunificazione e le sue conseguenze hanno coinvolto
tutti e tre questi livelli del Modell Deutschland Tale processo,
come noto, aveva almeno due obiettivi di fondo, che costituivano anche
due grandi sflde: la creazione all’Est di un’economia di mercato, e il
trasferimento, nei nuovi Länder, delle istituzioni occidentali (Institutionentransfer).
La risposta alla prima sfida, se si confronta la situazione del
1997 con le aspettative del 1990-91, è fallita. Il decollo economico
non ha avuto luogo nei tempi che si prevedevano, e fino ad oggi (1998),
non si sono verificati in misura sufficiente impulsi significativi verso
uno sviluppo economico in grado di autoalimentarsi. Un bilancio a
dir poco modesto[18], a fronte di trasferimenti
pubblici, tra il 1990 e il 1995, per una cifra non inferiore a 1.000 Mr.
DM[19].
Del tutto diverso è stato invece l’andamento del transfer
politico-istituzionale. Su questo piano infatti, a più di sette
anni dall’unificazione, la Repubblica Federale possiede una struttura statale
altamente integrata. Cosa che vale anche per alcuni degli aspetti istituzionali
più importanti del Modell Deutschland, come le normative nel campo
della politica salariale e del diritto del lavoro, o il sistema centrale
di rappresentanza degli interessi, le cui organizzazioni, sindacati e associazioni
imprenditoriali, hanno potuto espandersi nei nuovi Länder. In questa
realtà perà esse non hanno trovato condizioni operative paragonabili
a quelle presenti in Germania Ovest negli anni Settanta e Ottanta.
Ne consegue, e non è cosa da poco, che nei nuovi Länder
il Modell Deutschland non funziona nel modo desiderato.
Il grado di arretratezza del sistema produttivo della DDR e la perdita
dei mercati dell'Europa orientale, hanno creato una situazione difficilmente
comparabile con la fase di ricostruzione economica postbellica della RFT,
o con le crisi strutturali di settore degli anni successivi. Tra
il 1990 e il 1994 solo nelle imprese della Treuhand (THA) o ex-Treuhand,
sono stati licenziati 2.952.000 lavoratori. E le sfide occupazionali
connesse con questo fenorneno poterono essere affrontate soltanto ricorrendo
a nuovi strumenti. Non a caso in questo periodo la legge per la promozione
del lavoro (Arbeitsförderungsgesetz - AFG) è stata più
volle integrata da prescrizioni specifiche per i nuovi Länder[20].
Inoltre ad Est la promozione del lavoro finì inevitabilmente per
incidere sull'autonomia contrattuale: per le imprese facenti capo alla
Treuhand, che non erano in grado di pagare i salari, partner contrattuale
di fatto divenne il contribuente. Le numerose "società per
l'occupazione" (Beschäftigungsgesellschaften) formate per assorbire
il massiccio calo occupazionale nelle imprese della Treuhand e nel settore
delle imprese private, hanno abbassato i salari dapprima al 90%, in seguito
all'80% delle quote concordate nei contratti all'Est.
Per i sindacati e le associazioni imprenditoriali lo Aufbau-Ost
ha creato problemi inter- e intraorganizzativi (perdita di iscritti, scioperi,
numerose procedure di arbitrato, mutamenti nella regolazione dei conflitti
industriali), che hanno comportato la messa a rischio persino dello stesso
Flächentarifvertrag, e comunque, per il maggior uso di "clausole di
apertura", hanno investito il livello della contrattazione aziendale. I1
trend è stato rafforzato anche dall'introduzione, per la rima volta
in modo coerente solo in grandi imprese della Germania Est, di nuovi programmi
di produzione, i quali hanno messo in discussione le tradizionali forme
di rappresentanza aziendale. Il sistema dei fiduciari sindacali (Vertauensleute),
ad esempio, ha rischiato di essere soppiantato dalla teamorganization,
in cui i portavoce delle squadre assumono il ruolo di mediazione nei confronti
del livello direzionale più basso. Per questo e per altri
motivi legati al declino dell'organizzazione delle Camere di commercio
e artigianato, il Meistersystem, e con esso pure il sistema duale di forinazione
professionale, hanno scarse probabilitä di sopravvivenza.
Soltanto pochi degli attori politicamente rilevanti hanno tematizzato
chiaramente la crisi delle strutture di regolazione trasposte nei nuovi
Länder, come pure la gravità materiale dei roblemi dell'Aufbau-Ost[21].
Il ministro delle Finanze ha occasionalmente dichiarato che senza l'unificazione
egli sarebbe diventato il ministro di maggiore successo della Repubblica
Federale. Affermazione non del tutto irrealistica in quanto le condizioni
economiche e fiscali di partenza nel 1989 erano favorevoli sotto ogni aspetto:
il bilancio federale era consolidato e il governo progettava tagli fiscali
di tale portata da ridurre notevolmente la quota di stato (e al contempo
aumentare la domanda interna). Dopo l'unificazione invece, una grande
riforma fiscale e sociale, sul tipo di quelle attuate con successo per
esempio in Nuova Zelanda e in Olanda, divenne impossibile per i deficit
finanziari cui andarono quasi subito soggetti soprattutto i sistemi della
sicurezza sociale. Nel 1989 i fondi di riserva delle assicurazioni
di invaliditä e vecchiaia tedesco-occidentali assommavano a 40 Mr.
DM, una quota tra le più alte. Altrettanto solida era la situazione
delle assicurazioni contro la disoccupazione e le malattie. In un
primo tempo quindi, l'Aufbau Ost poté avvenire senza aumentare i
contributi e (con l'eccezione dell'assicurazione invalidità e vecchiaia
prima del trasferimento della normativa occidentale) senza ricorrere a
sovvenzioni addizionali dello stato[22]
. Naturalmente, nelle nuove condizioni non fu possibile realizzare in maniera
durevole le previste riduzioni dei contributi. A una diminuzione
di un punto percentuale dei contributi dell'assicurazione di invaliditä
e vecchiaia attuata nel 1991, fecero seguito negli anni successivi aumenti
progressive. Secondo il rapporto govemativo del 1996[23]
tali contributi sono destinati a crescere fin oltre l'inizio del prossimo
millennio, sempre a causa dei costi dell'unificazione[24].
Per coprire i deficit dell'Est, si prevedono trasferimenti fino a 26 Mr.
DM l'anno, ricavati dalle eccedenze contributive dell'Ovest[25].
Ancora più gravosi risultano gli oneri dell'assicurazione
contro la disoccupazione. Nel 1991 le spese dell'Ente federale per
il lavoro nei nuovi Länder sono ammontate a 10 Mr. DM, di cui solo
4,5 Mr. derivavano da contributi locali. 1 trasferimenti necessari hanno
comportato un aumento della quota contributiva dal 4,3% al 6,8%[26],
una situazione che negli anni successivi non ha registrato miglioramenti
sostanziali.
Nel complesso in Gerrnania, a causa dell'aumentato fabbisogno delle
assicurazioni sociali provocato dall'unificazione, i costi complementari
del lavoro hanno segnato un aumento verticale, mentre in tutti i paesi
europei vicini sono rimasti stabili o sono diminuiti[27].
Il carico finanziario dei sistemi di sicurezza sociale deriva essenzialmente
dal fatto che in tutti i rami di assicurazione (disoccupazione, malattia
e invalidità-vecchiaia) all'Est coloro che fruivano del servizio
erano molto più numerosi di coloro che pagavano i contributi.
La maggior parte di questi, inoltre, inizialmente proveniva da versamenti
di imprese della Treuhand (e dei loro dipendenti), che venivano rifinanziati
da quest'ultima attraverso prestiti sul mercato di capitali (per metà
all'estero)[28]. Fatto che cambia
il bilancio netto del trasferimento del governo federale, in cui queste
somme sono calcolate come entrate da contributi dell'Est.
Nel 1989 il tasso di disoccupazione tedesco era del 7,9%, quindi
al di sotto della media europea. Sempre in quell'anno, il SVR consigliò
ai sindacati di passare nuovamente, dopo anni di rivendicazioni qualitative
e di contenimento di quelle salariali, a richieste di tipo quantitativo[29].
Insieme alla prevista riduzione di imposte e contributi sociali, questa
operazione avrebbe dovuto fornire un sostegno supplementare al progetto
govemativo di crescita economica.
La prospettiva dell'unificazione tedesca pose bruscamente fine a
tutti questi progetti. Il fatto che il debito pubblico fosse diminuito,
i bilanci delle assicurazioni sociali disponessero di buone basi finanziarie,
il livello salariale avesse raggiunto il suo minimo storico, e il marco
continuasse a essere richiesto come moneta pregiata, venne ora considerato
una fortuna insperata, in quanto si trattava di impiegare tutti i mezzi
disponibili per la rapida costruzione dei nuovi Länder. Quindi,
invece di essere ridotte, dal 1992 tasse e imposte furono aumentate[30]
e la ricaduta, in termini di crescita salariale, della politica contrattuale
degli anni Ottanta fu alquanto limitata. Inoltre, circa 120 Mr. DM, che
in precedenza venivano investiti annualmente all'estero tramite una politica
forzata di alti tassi d'interesse, furono recuperati entro l'anno e impiegati
per l'Aufbau Ost[31].
Date queste premesse, un rapido rinnovamento della base industriale
all'Est
non appariva irrealistico. Questa idea non si registrava soltanto
in ambito politico: anche l'economia fino al 1991 era animata da "fantasie
sull'Est", in quanto si
aspettava un miracolo econonüco non solo nei nuovi Länder,
ma in tutta l'Europa orientale. Tanto che i primi investimenti nella
ex DDR erano completamente connessi all'aspettativa di una conquista a
medio termine di quei mercati[32].
Nel 1995 il tasso di disoccupazione nell'ex Germania Ovest ammontava
al 9,3% (2,7 milioni); nei nuovi Länder il 19,9% dei lavoratori era
senza lavoro (1,05 milioni) o inserito in programmi occupazionali finanziati
con fondi pubblici (0,31 milioni).
In questo caso di conteggiano le presenze sul secondo mercato del
lavoro, quello protetto, poiché simili provvedimenti mostrano (e
allo stesso tempo possono occultare politicamente) l'incapacità
economica del mercato del lavoro normale di assorbire l'offerta.
In effetti si tratta di disoccupazione mascherata.
Date le caratteristiche del sistema fiscale e sociale tedesco, le
conseguenze della disoccupazione per gli introiti statali e per i sistemi
di sicurezza sociale tisultano particolarmente onerose. La grande
rilevanza delle imposte su salari e redditi e la dipendenza della quota
dei contributi delle assicurazioni sociali dall'andarnento complessivo
dell'occupazione, in passato hanno consentito di realizzare forme di direzione
politica che corrispondevano alle esigenze del modello distributivo corporatista.
Ma questi sisten-ti, come mostra l'esempio della repubblica di Weimar,
non sono in grado di superare una lunga crisi economica[33].
I problenü di bilancio che la disoccupazione ha contribuito
a provocare sono stati notevolmente acuiti da trasferimenti nei nuovi Länder
per un totale netto di 1.000 Mr. tra il 1990 e il 1997. 11 debito pubblico
è salito da 929 Mr. nel 1989 a 2.135 Mr. nel 1996; più della
metà del nuovo indebitamento (1.200 Mr.) è dovuta direttamente
all'unificazione [34].
Nella letteratura sulle modalità di funzionamento del Modell
Deutschland, gli spazi di manovra finanziari di solito non vengono considerati
particolannente importanti. La cosa è sorprendente se si considerano
i risultati di ricerche in cui gli spazi distributivi nella politica sociale
ed economica figurano come presup-posto essenziale per il successo della
concertazione neocorporatista[35].
Il bilancio dello stato ha sempre rappresentato una significativa fonte
di tinanziamento degli accordi miranti a migliorare la valorizzazione di
capitali[36]. L’ipotesi di scambio
neocorporatista[37] secondo cui sindacati,
associazioni economiche e stato operano razionalmente in base a criteri
di costi-benefici entro sistemi neocorporatisti di contrattazione, ha ormai
un sufficiente fondamento empirico[38].
Lo stesso vale per la parità nonchè per la capacità
di impegno interno ed esterno degli attori coinvolti, senza la quale simili
accordi possono facilmente fallire.
Già Schmitter ha illustrato plausibilmente in che modo la
scarsità dei mezzi rafforzi le asimmetrie nel sistema corporatista
degli attori, pregiudicandone cosi l'esistenza[39].
Daltronde il gioco combinato dei due fattori di rischio si è onnai
delineato chiaramente. Gli spazi distributivi di un tempo nell'ambito
della politica sociale hanno assunto un segno negativo a causa degli oneri
a lungo tennine dello Aufbau-Ost. Anche l'equilibrio di forze tra
i "partner contrattuaIi" fonnatosi nella RFT ha iniziato a vacillare, malgrado
la disponibilità delle associazioni di vertice alla cooperazione
si fosse ancora mantenuta. Esso ha iniziato a modificarsi al piü
tardi quando esponenti del campo imprenditoriale videro nei conflitti contrattuali
all'Est la possibilità di spezzare il consenso postbellico del modello
tedesco-occidentale[40]. Nell'ambito
del processo di trasformazione verso un'economia di mercato e della ricostruzione
della struttura industriale orientale, le condizioni della regolazione
dei conflitti industriali sono cambiate in molti aspetti.
3. Mutamenti nella regolazione dei conflitti industriali
L’aspetto essenziale del quadro istituzionale dell'economia di mercato
tedesco-occidentale consisteva, tradizionalmente, nella capacità
di autogovemo dei Verbände:sindacati, associazioni imprenditoriali
e unioni industriali regolavano importanti settori dell'economia e della
produzione autonomamente o entro un rapporto di scambio con istanze statali.
Tuttavia, dopo la crisi causata dalla riunificazione nel 1992, i principi
coordinatori che fino a quel momento avevano regolato i rapporti tra imprese
e banche, come pure tra imprenditori e sindacati, di colpo non sembrarono
più in grado di funzionare e regole che inizialmente erano state
considerate garanti di un rapido sviluppo economico, iniziarono a essere
sospettate di rallentare la trasformazione verso il mercato.
La questione va esaminata più in dettaglio.
3.1. Peculiarità istituzionali della Germania Orientale
Il sistema di relazioni industriali della RFIsi è sviluppato
in continuità con
una peculiare tradizione storica e in relazione alle esigenze di
un'economia operante in un contesto di elevata competitività internationale
Tra le sue peculiarità e "vantaggi" storici vi sono determinati
aspetti dell'ordinamento delle imprese, dei mercati finanziari, e delle
istituzioni di rappresentanza delle parti attive sul mercato del lavoro.
Su questa base è sorta una configurazione di gestione istituzionale,
caratterizzata dalla concorrenza di specifici elementi di corporate governance,
di autogovemo settoriale, e di interventismo statale. Particolare
rilievo hanno la Mitbestimmung, la struttura delle associazioni operanti
sul mercato del lavoro, e il sistema di contrattazione collettiva[41].
Tutto questo, ovviamente, nella DDR postsocialista non esisteva.
Qui gli attori istituzionali dell'economia di mercato tipici della Bundesrepublik
(imprese private, banche, sindacati, associazioni, consigli di azienda)
si dovettero creare da zero. Con cib tuttavia, non sorse automaticamente
anche un'economia di mercato. Essa infatti da un lato presupponeva
strutture relazionali tra gli attori suddetti in grado di funzionare e
dall'altro la produzione di beni e servizi entro strutture economiche settoriali
e a condizioni di scambio tali da garantire la stabilità dei partecipanti
al mercato. Il raggiungimento di questa condizione richiedeva massicci
interventi dello stato in qualità di legislatore, promotore e proprietario.
In Germania Orientale invece sul piano imprenditoriale era decisiva la
posizione della THA, poichè questa di fatto era una istanza politica
che poteva agire al di fuori dei meccanisnù di regolazione stabiliti
dal diritto del lavoro[42] . Essa operava
come una sorta di associazione sovrasettoriale di imprenditori e datori
di lavoro che, in quanto detentrice della sovranità statale, poteva
al contempo stabilire in modo defnitivo le condizioni quadro maleriali
del processo di negoziazione delle parti, sia nei contratti che a livello
di impresa[43]. Inoltre importanti
presupposti del Modell Deutschland, come il regime di concorrenza, e l'autonomia
tariffaria, non erano presenti nel progetto di Aufbau-Ost, mentre, per
contro, il trasferimento del quadro istituzionale dell'economia tedesco-occidentale,
con l'inserimento in esso della THA, venne attuato rapidamente, ma nella
prospettiva di una trasformazione dell'Est secondo i dettami dell'economia
di mercato.
La strategia sostenuta da tutti gli attori (governo federale, Länder,
THA, sindacati e associazioni economiche), prevedeva una modernizzazione
dei settori industriali obsoleti tramite processi di privatizzazione, ma
con il ricorso agli ammortizzatori sociali e a sovvenzioni pubbliche, al
fine di conciliare l'adeguamento al mercato delle strutture produttive
con i diversi interessi delle parti sociali. Nel caso dello Aufbau-Ost
questo era molto piü difficile di quanto si potesse prevedere sulla
base dell'esperienza tedesco-occidentale. In particolare, proprio
le relazioni industriali divennero il tallone di Achille di una strategia
che mirava a ottenere in breve tempo un allineamento dei salari e un aumento
di produttività[44].
Lo Stufentarifvertrag[45]
siglato nell'industria metalmeccanica tedesco-orientale nella prospettiva
di rapidi successi del processo di costruzione dell'Est e dell'allineamento
salariale, segna l'apice di una strategia di modernizzazione corporatista.
Con la prematura rescissione di questo contratto (febbraio 1993), la crisi
dello Standort tedesco-orientale divenne infine evidente. La sua
attuazione infatti, non avrebbe solo significato il crollo dell'industria
metalmeccanica, ma anche un'intensificazione dell'opposizione dei datori
di lavoro orientali, iniziata già nel 1992, e un ulteriore aumento
delle fuga delle aziende dalle associazioni imprenditoriali. Al punto
da far temere un crollo anche del sistema di contrattazione. Questi
avvenimenti verranno illustrati più in dettaglio nel seguito, dopo
aver analizzato la problematica specifica relativa alla costruzione di
un'economia di mercato della Germania Orientale, nonché le scelte
politiche iniziali che vi hanno influito.
3.2. Strategia di modernizzazione e di alti salari come modello
Subito dopo la caduta del Muro, l'industria tedesco-occidentale e
i sindacati si trovarono di fronte alla questione se la Germania Orientale
dovesse diventare un , area di bassi salari. Per le imprese occidentali
ehe si erano impegnate a Est già all'inizio del 1990, e che partecipavano
in misura crescente alla gestione dei Kombinate orientali, si trattava
di una questione strategica centrale. Essa era stala discussa dettagliatamente
nel
week-end del 17-18 febbraio 1990 a Gand, in Belgio, in una riunione a porte
chiuse dei 17 commissari Cee dedicata al problema dell'unione economica,
monetaria e sociale della Germania[46].
In quella sede gli esperti della Commissione avevano fatto il seguente
calcolo: all'inizio del 1990 in Germania Orientale il reddito medio reale
per occupato equivaleva a un quarto del salario reale tedesco-occidentale.
Per fermare l'emigrazione di forzalavoro qualificata da Est ad Ovest allora
in atto, che minacciava di aggravare la crisi dell'economia della RDT,
era necessario e nell'interesse di tutti (cioe delle due Germanie e dei
vicini europei), innalzare i redditi orientali a due terzi di quelli occidentali.
Tale cifra, si valutava, all'inizio sarebbe stata sufficiente, purche i
cittadini della DDR potessero sperare in un costante miglioramento delle
loro condizioni di vita. Tenendo conto del numero degli occupati
in entrambi i paesi, contabilmente da questo aumento risultà un
aggravio dei redditi occidentali pari al 10%, che si sarebbe dovuto mantenere
fino a quando la Germania Orientale non avesse sperimentato il suo proprio
«miracolo economico»[47]
. La Commissione europea pronosticb allora che la "decima" si sarebbe dovuta
versare per due o tre anni e che negli anni successivi vi sarebbe stata
una tendenza alla diminuzione fino alla svolta del millennio. Il
10% di imposta sui salari corrispondeva a quell'epoca al 6,5% del Pnl della
Bundesrepublik, al quale si aggiungeva un ulteriore 1,5% sempre del Pnl
come trasferimento pubblico; quindi un totale dell'8%, ovvero circa 200
Mr. DM all'anno fino al 1995. Oggi sappiamo che i trasferimenti a
Est costituiscono circa il 10% del Pnl.
Diversamente da quanto previsto allora dal documento Cee, la parte
prevalente di questa quota è stata finanziata tramite indebitamento.
A Bruxelles però si era contemplato anche questo caso.
Se i cittadini della Repubblica Federale non volevano versare la
loro "tassa per la DDR" con riduzioni di reddito e consumi, cosi recitava
il documento di Bruxelles, vi sarebbe stato rischio di inflazione e una
corrispondente politica restrittiva della Bundesbank. Il risultato sarebbe
stato una rivalutazione del marco e un discreto disordine nel sistema valutario
europeo (cosa che in seguito avvenne). Il che mostra che già presto
si è formato un fronte conflittuale tra il govemo federale e i partner
europei, laddove questi ultimi tentavano di giungere ad un accordo per
un finanziamento comunitario dello Aufbau-Ost.
Al contempo, anche nel documento della Comnùssione europea
compare l'accenno alla possibilità di uno sviluppo del tutto diverso,
poich6 per esempio si ignorava in che proporzione tra risparmi e consumi
i cittadini DDR avrebbeto impiegato i 40 Mr. DM ottenuti con l'unione monetaria.
Un altro fattore di incertezza era costituito dall'imprevedibilità
dei soggetti economici e delle grandezze Aggregate risultanti dal loro
comportamento, che a loro volta incidevano sulle disposizioni ad agire
dei singoli. Qui il pericolo di spirali discendenti sarebbe cresciuto
quanto più diminuiva la fiducia nel decollo dell'Est. La promessa
politica di sostenere con tutte le forze l'economia dell'Est e di «farla
fiorire» dev'essere vista in questa prospettiva. La Commissione
europea e stata una delle prime istanze politiche ad avere tracciato molto
chiaramente questa situazione nei suoi scenari.
Già alla vigilia dell'unione monetaria, econonùca e
sociale erano noti gli effetd dirompenti che avrebbero avuto rapidi aumenti
salariali in presenza di una lenta crescita della produttività all'Est.
La Comunità europea giunse alla conclusione che, per ottenere aumenti
di reddito, l'industria dell'Ovest avrebbe richiesto un prenùo di
redditività prima di investire nei nuovi Länder. Cosa
che si sarebbe attuata in modo più favorevole con l'impianto di
industrie a basso salario.
Oggi e noto che il govemo e la THA hanno scelto la via opposta e
più costosa. Nei limiti del possibile, essi intendevano far sorgere
nei nuovi Länder l'industiia più moderna d'Europa. In
quest'ottica hanno imposto condizioni di concorrenza anche agli impianti
produttivi tedesco-occidentali (per esempio nei settori dell'acciaio, costruzioni
meccaniche, meccanica di precisione, automobile e chinùca), accelerando
coèi la modemizzazione dell'economia nell'intero paese, cosa che
si e tradotta già nel 1994 in un notevole aumento di produttività.
La distruzione senza precedenti di impianti e posti di lavoro a
bassa produttività e i prezzi di acquisto negativi nel corso della
privatizzazione dell'economia della DDR, sono il rovescio di questa medaglia.
Se si considerano i contratti della THA, si noterà chiaramente che
qui non si sono vendute delle imprese, ma si sono comprati progetti di
imprese, investimenti e posti di lavoro produttivi. In questo senso
la THA ha svolto la funzione di una agenzia statale per la modernizzazione
di dimensioni storicamente mai viste, soprattutto per quanto riguarda la
sua dotazione finanziaria[48].
A uno sguardo retrospettivo, un confronto tra le previsioni e i suggerimenti
in materia di politica salariale avanzati dal SVR il 16 novembre 1989,
e i tisultati della riunione della Commissione europea del 16-17 febbraio
1990, si rivela estremamente istruttivo: mentre il SVR reclama un robusto
supplemento di salario, per non dare ai lavoratori l'impressione di essere
esclusi dai benefici
del vigoroso sviluppo economico dei due anni precedenti[49],
gli esperti Cee considerano una riduzione del 10% dei redditi reali all'Ovest
il presupposto per il finanziamento dei futuri aumenti del reddito all'Est,
purchè questo non si realizzi tramite nuovi indebitamenti, una politica
di alti interessi e relativi pericoli per il sistema valutario europeo.
La tensione tra la logica di scambio del Modell Deutschland che sottende
alla relazione del SVR e le nuove esigenze poste dalla situazione creatasi
dopo la caduta del Muro A- evidente. Per risolverla sarebbe stata
necessaria una tempestiva e franca illustrazione e discussione dei problemi
di distribuzione già allora noti, ma chi ne parlava veniva facilmente,
ed erroneamente, sospettato di non volere l'unificazione. Invece
soltanto questo dibattito sarebbe stato in grado di avvicinare la logica
di scambio del Modell Deutschland alla mutata situazione.
3.3. La crisi del sistema contrattuale
Già è stato rilevato che nel febbraio 1993 gli industriali
metallurgici dell'Est, adducendo come motivo la precaria situazione economica,
avessero disdettato uno Stufentarifvertrag che in quelle industrie prometteva
un rapido adeguamento dei salari al livello occidentale. Nato da
considerazioni di natura politica, esso prevedeva un aumento di salario
del 26% nel 1993. Il suo annullamento era stato preceduto da una disposizione
della THA che, non rispettando il contratto[50],
prescriveva alle sue imprese di programmare per quell'anno un aumento solo
del 9%. Le associazioni imprenditoriali dell'industria metalmeccanica
dei nuovi Länder dovettero interpretare questa indicazione come un
chiaro segnale, tanto più che allora esse si mantenevano quasi esclusivamente
grazie alle quote associative delle imprese della THA. Poichè
i sindacati e il govemo federale condividevano l'opinione che nelle imprese
della Treuhand il contribuente costituisse un partner contrattuale, le
richieste sindacali circa il rispetto dell'autonomia contrattuale non poterono
che rafforzare la necessità di accelerare ulteriormente le privatizzazioni[51].
I contrasti sorti in quell'occasione rivelarono la forza che aveva
lo stato in quanto detentore di diritti di proprietà sul patrimonio
industriale tedesco-orientale e la debole capacità vincolante delle
associazioni sindacali. La sola IG Metall perse tra il 1991 e il
1995 più della metà degli iscritti acquisiti all'Est.
Nel 1995, inoltre, 133.000 dei suoi timanenti 480.000 membri erano
disoccupati, per cui essa divenne la maggiore organizzazione di disoccupati
della Germania Orientale[52]. Poichè
inoltre altri 96.000 iscritti erano pensionati o in prepensionamento, quasi
la metà dei membri rimasti non aveva un rapporto di lavoro, fatto
che rese la politica contrattuale molto più difficoltosa.
Le organizzazioni imprenditoriali soffrirono fin dall'inizio di
conflitti organizzativi interni e dal 1993 in misura crescente anche di
una grave perdita di associati[53].
Tra l'inverno 1993-94 e l'inizio del 1995, la quota di imprese presenti
nelle associazioni imprenditoriali in grado di sostenere trattative contrattuali
(tariffähig) nel senso tradizionale, scese dal 36 al 26%, anche se
queste, tuttavia, raccoglievano pur sempre il 61 % degli occupati[54].
Le defezioni avvenivano prevalentemente a seguito della privatizzazione
di imprese piccole e medie, laddove ex-aziende della Treuhand di proprietà
di imprese tedesco-occidentali o straniere e tra queste ancora soprattutto
grandi imprese, continuano ad avere un alto grado di organizzazione.
Tra le imprese autonome domiciliate in Gerrnania Est invece, nel 1995 soltanto
il 19%, e addirittura solo il 13% delle nuove societä, era organizzato
in associazioni imprenditoriali[55].
Se si mettono in relazione le perdite di iscritti sindacali nei
nuovi Länder, in particolare della IG Metall, le costanti minacce
di defezione di un ulteriore 10% delle imprese organizzate in associazioni
imprenditoriali[56] e un Flächentarifvertrag
stipulàto nell'estate 1996 tra il Verband der Sächsischen Metall
und Elektroindustrie, (Associazione dell'industria metallurgica ed elettrica
della Sassonia) - un'organizzazione indipendente - e il Christlicher Gewerkschaftsbund
(Unione sindacale cristiana), un sindacato concorrente del DGB[57]
, si noterà che il modello postbellico ben ordinato di relazioni
industriali nella Gertnania Orientale si trova in serio pericolo, se non
è addirittura già esaurito. I meccanismi istituzionali di
governance di settori industriali si sono dunque fivelati estremamente
vulnerabili. E questo tanto più quanto più a lungo
si trascinava lo Aufbau-Ost.
La portata di questo sviluppo specificamente tedesco-orientale diviene
particolarmente chiara allorchè defezioni dalle associazioni industriali,
come quella della Jenoptik di Jena, inscenate a scopi propagandistici,
esercitano un effetto trainante su altre imprese e provocano quindi ulteriori
defezioni. La fuga dalle associazioni soggiace a una dinamica potenzialmente
autonoma la quale, analogamente a quanto é accaduto con l'esodo
dei medici dai policlinici dell'Est, potrebbe portare rapidamente, e per
i Verbände interessati anche inaspettatamente, al crollo totale del
sistema corporatista di relazioni industriali.
Il Modell Deutschland (corporatistico), ha perso ulteriormente il
suo significato di un tempo anche a causa della posizione assunta da grandi
investitori stranieri nei nuovi Länder. Nella grande industria
tedesco-orientale sono coinvolte imprese che non tengono conto delle modalità
del macrocorporatismo tedesco-occidentale. Il Konzern norvegese Kvaemer
(costruzioni navali) in un primo tempo non intendeva diventare membro dell'associazione
di datori di lavoro, ma stipulare dei contratti collettivi intemi; il Konzern
petrolifero francese Elf-Aquitaine ha aggirato, con l'aiuto del govemo
francese, le reti di concertazione corporatistica tramite contatti diretti
con la Cancelleria, e il gruppo siderurgico belga Cockerill-Sambre sfrutta
rapporti privilegiati con la Commissione europea. Il successo o il
fallimento di provvedimenti politici e deciso, in nùsura molto maggiore
che in settori vicini allo stato, da eventi su scala europea e mondiale,
difficilmente calcolabili. In queste condizioni di giurisdizione
frammentata, con una moltitudine di policy communities che vi si sovrappongono,
un «capitalismo organizzato», sul tipo del Modell Deutschland
sembra in grado di funzionare solo linùtatamente.
Occorre osservare, tuttavia, che cib vale per il livello dei mercati
nazionali ed europei[58], ma non per
gli spazi econontici regionale, in cui «cartelli modernizzatori»
corporatisti possono evidentemente funzionare anche oggi, almeno nei casi
in cui essi poggino su una tradizione di radicamento sociale in economie
regionale (industrial districts)[59].
Dopo il macrocorporatismo keynesiano degli anni Settanta e il mesocorporatismo sviluppatosi per affrontare i mutamenti strutturali a livello di settore industriale percib, ora si riscontrano più che in passato l'esistenza di reti regionali per il rinnovamento industriale. Questo vale per l'intera Bundesrepublik. Ne sono un esempio il progetto di "Bioregione per la promozione della tecnologia genetica", del ministero federale della Ricerca, ma in modo particolare i piani di ricostruzione delle regioni economiche tedesco-orientali di cui si parlerà in dettaglio nel seguito a proposito dell'industria chimica. Trends di regionalizzazione si possono osservare anche nella composizione dei Consigli di sorveglianza (Aufsichtsräte) delle imprese tedesco-orientali, dove i rappresentanti di istanze regionale (politica locale, imprese limitrofe) sono stati rivalutati, mentre l'influenza delle grandi banche private, tradizionale elemento forte del Modell Deutschland, e stata drasticamente ridimensionata in favore di istituzioni di finanziamento pubblico.
3.4. Consigli di sorveglianza e influenza delle banche
Nel corso del processo di trasfonnazione economica la cogestione
a livello dell'impresa, ovvero nel Consiglio di sorveglianza (Aufsichtratsmitbestimmung),
si é rivelata un'istituzione utile ai fini dell'integrazione dei
conflitti e della ristrutturazione aziendale. Nelle società
di capitali tedesco-orientali si sono dovuti costituire in pochi mesi 455
Consigli di sorveglianza. Tuttavia, mentre l'occupazione dei posti
riservati agli imprenditori é stata avviata dalla THA tramite un
sistema di contatti a catena ehe ha consentito la collaborazione di personalità
delle varie branche, di unioni imprenditoriali informali e di associazioni
industriali, per i lavoratori non é stato facile trovare rappresentanti
in numero sufficiente, per giunta competenti sia nei vari settori econonùci,
sia in questioni di cogestione. 1 Consigli operavano per un compenso onorario.
Il presidente Rohwedder era infatti dell'avviso ehe le imprese della THA,
per via delle loro finanze deficitarie, non avrebbero potuto sopportare
grandi spese di rimborso per i membri dell'Aufsichtsrat[60].
Malgrado cib, egli registrà sempre da parte di costoro un'ampia
disponibilità, motivata moralmente e/o in nome dell'interesse nationale,
a collaborare per la riunificazione e lo sviluppo dell'Est[61].
Dai Consigli di sorveglianza di imprese della Treuhand, sono stati
esclusi elementi della cultura econornica tedesca. Una cultura di
cui, nel corso dello Aufbau-Ost, ei si sarebbe potuto aspettare una "rifioritura".
Ne sono un esempio la preoccupazione della THA di ammettere al massimo
un solo rappresentante delle banche nei Consigli delle proprie imprese
e il rifiuto categorico di accettare costoro come presidenti. In
linea di principio si trùrava ad avere una composizione del Consiglio
ehe favorisse la reticolazione regionale di aziende, ed in cui vi fossero
esponenti degli enti territoriali dei Länder in cui risiedevano, per
dar spazio a specifiche esigenze regionale, far emergere potenziali sinergie,
o per sostenere l'attuazione di provvedimenti nel campo della politica
occupazionale[62].
1 motivi della diffidenza verso le banche sono molteplici: dapprima
si temeva ehe i loro esponenti potessero influenzare membri del Consiglio
o delle Direzioni con promesse di finanziamenti per imporre in tal modo
proprie strategie di privatizzazione[63].
Questo timore, espresso nell'autunno 1990, appare eccessivo a fronte della
diffidenza mostrata in seguito proprio dalle banche tedesco-occidentali
nei confronti di imprese della THA. L’avversione nei loro confronti,
d'altra parte, non si concilia con il ruolo, sottolineato da Shonfield[64],
della rappresentanza bancaria nei Consigli di sorveglianza. Probabilmente
alla base di essa vi sono dei conflitti più legati all'attualitä,
come l'inattesa cautela mostrata dalle grandi banehe nelle prime trattative
sui crediti da concedere per garantire il pagamento dei salari nelle imprese
della THA e comunque l'atteggiamento nel complesso critico ehe predominava
in questa organizzazione nei loro confronti[65]
3.5. La cooperazione sociale ed economica nell'industria chimica
La trasformazione dell'industria chimica tedesco-orientale, diversamente da quanto avvenuto in altre branche, rappresenta un modello esemplare di politica industriale corporatista. Proprio qui infatti, sebbene i problemi legati all,- scarsa produttivitä e all'alto inquinamento ambientale fossero particolarmente gravi, tale processo è stato coronato da successo.
Va rilevato ehe in tale settore lo scarto Est-Ovest era maggiore
rispetto, per esempio, alla cantieristica, alla meccanica, o all'impiantistica[66].
Per sopperire alla carenza di materie prime del paese, l'industria chimica
privilegiava la produzione di materiali organici, in particolare derivati
del petrolio, metano e carbone. Rispetto alla Germania Ovest, il
numero degli impiegati era più basso di quello degli operai, tra
i quali vi era una quota di manutentori ehe da decenni ormai aveva raggiunto
il 30%. Questo perchè più della metä degli impianti
era obsoleta (il 25% risaliva all'anteguerra). Altamente inquinato
risultava il famigerato "triangolo della chimica" compreso tra i centri
di Merseburg, Halle e soprattutto Bitterfeld, città ehe in base
ai valori limite stabiliti dall'Onu non avrebbe neppure potuto essere abitata[67].
Se inoltre si considera ehe, per i vari motivi suddetti, già prima
dell'unificazione giuridica in questa regione furono chiusi più
di 100 complessi industriali[68], appare
ovvio considerare questo settore come il meno meritevole di essere conservato.
Ciononostante esso alla fine ha mantenuto il maggior numero di posti di
lavoro, mentre altri rami, un tempo più produttivi, sono diventati
quasi irrilevanti[69].
La causa è rinvenibile in almeno tre ordini di fattori:
- una struttura industriale caratterizzata da un basso numero di
imprese concentrate a livello regionale e collegate da una rete tecnico-produttiva,
cosa ehe rendeva più agevole intervenire;
- garanzie politiche di sopravvivenza (ovvero promesse esplicite
del cancelliere Kohl) e aiuti pubblici per il mantenimento della struttura
produttiva regionale, il cui crollo avrebbe avuto conseguenze sociali imprevedibili;
- una struttura di partnership sociale ed economica molto forte e l'orientamento
ad agire in tal senso da parte dei principali attori organizzati.
Mentre i primi due punti si possono spiegare relativamente bene[70],
il ruolo della partnership industriale nel settore chimico deve ancora
essere chiarito, soprattutto perch6 in altri rami, specie nell'industria
metallurgica, ha prevalso una politica di trasformazione ehe, tra il 1992
e il 1996 circa, ha assunto crescenti aspetti conflittuali.
Nel marzo 1990 le associazioni dell'industria chièca hanno
stabilito dei principi procedurali comuni per attuare il transfer delle
strutture di direzione e coordinamento del settore chimico tedesco-occidentale
ad Est. Nel giugno dello stesso anno, questi principi vennero integrati
da proposte e rivendicazioni di politica industriale avanzate dalla IG-CPK,
dall'Associazione federale degli industriali della chimica (Bundesarbeitgeberverband
Chemie) e dell'Associazione dell'industria chimica (Verband der Chemischen
Industrie). Procedura e risultati di questa collaborazione rientrano
totalmente nella tradizione dei cosiddetti "accordi extracontrattuali tra
partner sociali" e nell'ambito dellapartnerhip industriale della chimica.
Essa comprendeva anche un'azione concordata di lobbying di tutte le organizzazioni
della chimica nei confronti del govemo federale e dei suoi organi, la quale
mirava, tra l'altro, ad emendare la legge sull'avviamento al lavoro. Il
presidente della IG-CPK, Hermann Rappe, il quale era anche consigliere
di amministrazione della THA, deputato SPD al Bundestag, membro della commissione
parlamentare per la THA, nonch6 attivo partecipante alle consultazioni
del cancelliere (Kanzlerrunden) sullo Aufbau-Ost e suo probabile consigliere,
ebbe un ruolo importante nell'inserimento del § 249h nella Legge di
promozione del lavoro (Arbeitsförderungsgesetz - AFG). Questo
paragrafo autorizza il finanziamento pubblico nei nuovi Länder di
Società per l'occupazione (Beschäftigungsgesellschaften), operanti
soprattutto nel campo del risanamento ambientale, dei servizi sociali o
dell'assistenza per i giovani. Esso rese possibili due grandi progetti
per creare nel complesso fino a 40.000 posti di lavoro, ai quali collaborarono
in modo decisivo la IG-CPK e il sindacato dei minatori (IG-Bergbau), in
seguito fusosi con la prima[71].
Con la creazione di un impianto di riqualificazione per la chièca
(Qualifizierungswerk Chemie) e di un analogo impianto di risanamento della
lignite (Sanierungswerk Braunkohle), si apti una strada, nuova per la Bundesrepublik,
di politica attiva del mercato del lavoro[72].
in questa operazione vennero riunite una serie di Beschäftigungsgesellschaften,
come la Società di riqualificazione e progettazione di Bitterfeld,
la Società per il risanamento degli impianti della Leuna, o la Società
di promozione strutturale della fabbrica di azoto di Wittenberg-Piesteritz,
ehe impiegavano rispettivamente 5.300, 1.500 e 1.000 addetti. 1 loro compiti
comprendevano l'applicazione di misure di smaltimento nel quadro della
nortnativa ambientale, lo smantellamento di stabilimenti e il risanamento
e preparazione di terreni per nuovi insediamenti industriali.
Con gli strumenti tradizionali dell'avviamento individuale al lavoro,
l'accordo quadro stipulato il 31 marzo 1993 tra la THA e la IG-Chemie per
un'azione collettiva di incentivazione dell'occupazione e di risanamento
dei vecchi danni non sarebbe stato possibile. Sulla base del §
249h la THA si impegno a fornire al Qualifizierungswerk Chemie la somma
di 75 Mill. DM e di amministrarla «in stretta collaborazione
con la IG-Chemie». Da un lato, essa assegnà stanziamenti
mirati, con i quali le fabbriche dell'azienda vennero materialmente equipaggiate;
dall'altro, i piani sociali delle imprese della THA ehe rientrano nell'ambito
or anizzativo della IG-Chemie, dovevano prevedere che i lavoratori destinati
a una società di risanamento sostenuta, secondo il § 249h AFG,
dall'Amministrazione del lavoro, ricevessero un'indennità in forma
di salario. Questa, unitamente alle sovvenzioni sul costo del lavoro
fomite dall'Ente federale per il lavoro per ogni addetto collocato da questa
società, veniva a costituire un reddito lordo ehe doveva risultare
inferiore a quello stabilito su base contrattuale in un'impresa dello stesso
ramo ehe non rientrasse nel § 249h.
Un accordo quadro simile è stato stipulato dalla THA con
il sindacato dei minatori, la IG-Bergbau und Energie. In questo caso
minatori delle zone di estrazione di potassa e lignite e operai del "triangolo
della chimica" sono stati riqualificati come operatori ambientali e impiegati
per lo smantellamento di vecchi impianti industriali e per il risanamento
di grandi superfici.
Questo provvedimento ha aumentato le possibilità di privatizzazione
in entrambi i settori, in quanto il numero dei posti di lavoro da privatizzare
si e ridotto, mentre nello stesso tempo la THA è stata liberata
dal problema del risanamento ambientale.
Tali strutture, inoltre, svolgono un compito per il quale si erano
candidate delle imprese intemazionali[73],
per cui la soluzione trovata con le Beschäftigungsgesellschaften,
ha fatto si ehe gli investimenti della THA in mezzi di produzione siano
andati a favore di imprese dell'Est (anche della stessa Treuhand), nel
settore della meccanica e dell'impiantistica, garantendo, almeno temporaneamente
altri posti di lavoro.
La partnership sociale nel settore chimico e minerario ha portato
a una riduzione dell'occupazione più lenta e nel complesso minore
rispetto ad altri settori industriali dei nuovi Länder (cfr. tab.
1). Al contempo perà, il sostegno finanziario ai siti chimici
ed estrattivi tedesco-orientali ha richiesto più risorse di quante
siano state necessarie per la trasformazione, ovvero riduzione, di altri
settori economici tramite l'economia di mercato. Risorse ehe invece
vennero impiegate prevalentemente in investimenti.
Un programma di investimenti di analoghe proporzioni, anch'esso
sostenuto da finanziamenti pubblici, si e avuto solo nel caso del gruppo
Jenoptik, costruito da Lothar Späth con quanto rimaneva della Zeiss.
Come nel caso dell'industria chimica, pure qui si é proceduto senza
grandi riguardi per analoghi settori della Germania Ovest. 1 concorrenti
tedesco-occidentali e le loro associazioni economiche avevano spesso rifiutato
di investire all'Est, anche se con l'appoggio dello stato. Questo
vale in particolare per aziende nel campo dell'impiantistica, in quanto
i Kombinate orientali erano troppo grandi per poter essere assorbiti dalle
imprese occidentali, prevalentemente di media dimensione. Esse per giunta
temevano la concorrenza di alcune aziende relativamente produttive: percib
era del tutto nel loro interesse far si ehe questi veri e propri mammut
venissero notevolmente ridimensionati.
Tuttavia, anche se la ristrutturazione dell'industria chinùca
è avvenuta secondo il "classico" modello di scambio neocorporatista
triangoiare tra stato, sindacafi e associazioni imprenditoriali, la questione
del successo economico di questa strategia e ancora aperta. Alcuni
elementi perb fanno pensare ehe anche in presenza di perdite iniziali,
destinate a protrarsi nel tempo, le quali, secondo gli accordi di privatizzazione
devono essere in parte finanziate dall'Ente federale per impegni straordinari
indotti dall'unificazione (Bundesanstalt für vereinigungsbedingte
Sonderaufgaben), il bilancio complessivo della trasformazione del settore
chimico sarà nùgliore di quello, per esempio, dell'industria
meccanica.
Tab. 1. Mutamenti nell'occupazione in settori selezionati (in migliaia)[74]
Meccanica pesante
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 1072 | 418 |
1994 | 880,8 | 79,8 |
Elettrotecnica
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 1109 | 277 |
1993 | 945,4 | 61,3 |
Agricoltura
Forza lavoro | Est | Ovest |
1989 | 662,7 | 889,0 |
1993 | 579,3 | 196,2 |
Chimica
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 606 | 161 |
1993 | 557,3 | 107,6 |
Servizio pubblico (Länder e comuni)
Occupati | Est | Ovest |
1991 | 3.272 | 675,6 |
1994 | 3.277 | 565,7 |
Commercio (all'ingrosso e al minuto)
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 3.047 | 675 |
1994 | 3.267 | 581 |
Sanità
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 195,3 | 42,5 |
1993 | 216,9 | 43,1 |
Banche
Occupati | Est | Ovest |
1990 | 645,2 | 52 |
1993 | 684,6 | 69,5 |
4. Il futuro del Modell Deutschland dopo l'unificazione
Nella Repubblica Federale, l'ampio consenso iniziale sull'unificazione
stato in breve tempo scosso dallo sviluppo di un dibattito intenso
ed estremamente controverso sul futuro dello Standort Deutschland, un tema,
che, a partire dal 1992, si è intrecciato abbastanza strettamente
con quello dell'unificazione[75].
In entrambi i casi infatti, oggetto di controversia sono l'adattamento
dell'economia alla mutata condizione nazionale e intemazionale e, in particolare,
la questione dell'efficacia e competitività di strutture di coordinamento
economico. I problemi di adeguamento nella Germania Orientale pero
sono molto più complessi.
In primo luogo per l'arretratezza degli impianti produttivi: a fronte
di una produttività media del lavoro pari al 25% (1991) dell'economia
tedesco-occidentale. in tutti i settori tranne che nella produzione dei
beni alimentari e voluttuari[76], un
rapido recupero della Germania Orientale, anche in condizioni istituzionali
ottimali, sarebbe illusorio. Chi riteneva che una buona moneta e
un buon ordinamento giuridico sarebbero bastati a realizzare rapidamente
gli obiettivi di costruzione, dimenticava un terzo fattore che in questo
caso svolge un ruolo decisivo: il tempo. I processi di recupero industriale
ne richiedono molto, soprattutto quando occorre costruire ex novo e collegare
tra lorö strutture settoriali, in quanto cib, nel caso di una rapida
trasformazione è particolarmente soggetto a errori. Poichè
il mercato come istanza di coordinamento di processi di trasformazione
postsocialisti non funzionava ancora, la sorte di settori, imprese e posti
di lavoro, fu decisa da valutazioni più o meno "speculative" di
collaboratori della Treuhand, tecnici, e investitori. In questo senso,
poich6 non esistevano mercati per le merci, nd prezzi di mercato per le
imprese della RDT, anche il valore della sua econonùa dovette essere
stimato in modo analogo.
Le initiative avviate nel 1993 per il mantenimento di industrie
chiave, definite, per evitare ogni ricorso alla terminologia socialista,
«nuclei industriali», hanno mostrato che, al di là dell'ideologia,
le condizioni quadro economiche e politico-istituzionali della Repubblica
Federale costituivano un ostacolo per una politica coerente di trasformazione
industriale di lungo periodo. Se si confronta il modo di affrontare
le crisi dei settori industriali all'Est con il Crisismanagement attuato
in passato nella RFI, appare evidente ehe il problema di fondo è
costituito dalla condizione di debolezza che i nuovi Länder hanno
nella politica strutturale rispetto alla THA.
Nei primi anni dopo l'unificazione giuridico-istituzionale il funzionamento
della politica e dell'amministrazione all'Est non era minimamente comparabile
a quello tradizionale della RFT. Nei ministeri economici dei nuovi
Länder e nella THA, inoltre, l'occupazione delle massime posizioni
dirigenziali da parte di funzionari e manager occidentali, limitava le
possibilità di soluzione dei problemi, in quanto il "repertorio
di azione" di cui disponevano questi ultimi era molto condizionato dalla
loro formazione ed esperienza avvenute nel contesto dell'ordine istituzionale
della RFT[77]. In questo senso
quindi, anche la definizione di cib che doveva essere considerato come
un problema era predeterminato dall'esperienza dei principali attori[78].
In dato rilevante, comunque, è che a Est l'ordine istituzionale
non funzionava assolutamente come a Occidente. A Ovest infatti, la
gestione politica di crisi strutturali era stata sempre condizionata da
interessi, strategie e progetti dei Länder coinvolti, mentre invece
nello Aufbau-Ost il governo federale e la THA pretendevano di avere l'ultima
parola sulle imprese in loro possesso. E i nuovi Länder, sulla
cui futura struttura economica si decideva, non potevano opporsi a questa
pretesa ehe si fondava sul diritto di proprietà. Questo fatto,
unitamente alla scarsa capacità, e a volte anche mancanza di volontà,
dei nuovi Länder di affrontare i rischi politici e finanziari di una
propria politica strutturale, rendono la regolazione delle crisi industriali
all'Est differente dall'Ovest. Nella RFT la Federazione si era sempre
opposta alla statalizzazione di imprese in chsi (per es. nel carbosiderurgico,
nel tessile e nella cantieristica). In Germania Est invece, per via
dell'unificazione, essa si trovò effettivamente a possedere tali
imprese e volle sbarazzarsene il più rapidamente possibile.
In entrambi i casi la soluzione migliore venne individuata nell'intervento
strutturale tramite sovvenzioni a privati. E in entrambi i casi le
motivazioni dell'azione govemativa sono risultate molto simili, ma questa
si e svolta in condizioni e, quindi necessariamente anche con obiettivi,
assai differenti.
La situazione sfavorevole al soddisfacimento di esigenze economiche
regionali è stata ulteriormente peggiorata dalle crescenti richieste
di controllo avanzate dalla Commissione europea. Fino al 1992 i nuovi
Länder erano esclusi dalle trattative tra Federazione, THA e organi
europei di controllo sulla concorrenza, riguardanti l'applicazione delle
leggi sulle sovvenzioni in particolari settori produttivi[79].
Solo dopo quella data si sono allacciati rapporti importanti tra le cancellerie
dei Länder e le istituzioni europee.
In sostanza, la configurazione futura delle imprese e dei settori
rimase aperla in quanto ogni fissazione su un certo tipo di politica industriale,
avrebbe forzato la struttura delle competenze politiche esistente, sebbene
in alcuni aspetti fosse già mutata. In tal modo si fin! per
praticare una politica strutturale caratterizzata da interventi isolati
anche se incisivi: un insieme di interventi incoerenti, diametralmente
opposti al progetto, sviluppato negli anni Sessanta e Settanta in RFT,
di politica strutturale "tutta d'un pezzo", per cosi dire, e intesa come
contributo ad una strategia di crescita concertata.
I governi in via di formazione dei nuovi Länder non avrebbero
assolutamente potuto assolvere ai compiti di Strukturpolitik assegnati
loro dalla Costituzione. Le prime richieste avanzate in tal senso
dai sindacati, da frazioni della SPD, o emerse all'interno dei governi
medesinù, erano percib destinate a fallire di fronte alla struttura
delle competenze già esistente, la quale per giunta, a partire dal
marzo 1990, fu condizionate dalla THA. Solo la formazione di enti
analoghi a quest'ultima a livello regionale avrebbe offerto delle possibilità
di gestire la crisi secondo il modello tedesco-occidentale, ma tentativi
compiuti dai Länder in questo senso furono vanificati nell'autunno
1990 dal governo federale in accordo con la Treuhand[80].
Poco dopo, nella primavera del 1991, quando divennero chiari i carichi
di bilancio dello Aufbau-Ost, le regioni lasciarono il campo, più
o meno spontaneamente, alla THA - tanto più che i criteri di cooperazione
tra Federazione, nuovi Länder e THA per lo sviluppo dell'Est, statuiti
il 15 marzo 1991, avevano in un certo senso linùtato la competenza
di quest'ultima nella polifica strutturale a quella di una sorta di "prestatore
di servizi" per i nuovi Länder.
Le imprese tedesco-occidentali che hanno evitato l'Est, o non vi
hanno avviato un'attività, alla lunga potrebbero essere poste nella
necessità di difendersi da una concorrenza orientale sovvenzionata.
Siderurgia, meccanica e cantieri navali furono, accanto al settore degli
oli nùnerali, i ran-ù nei quali emersero i contrasti più
forti tra la linea del govemo federale e dei nuovi Länder da una parte,
e dall'altra gli interessi "difensivi" di imprese e Länder tedesco-occidentali[81].
Il mantenimento, sostenuto dallo stato, di nuclei industriali all'Est,
ha provocato conflitti non solo tra Est ed Ovest, ma anche entro gruppi
di attori occidentali, con ripercussioni sulla capacità operativa
complessiva della politica strutturale.
Nel luglio 1996 la commissione mista Bund-Länder per la pianificazione
nell'ambito degli «Impegni comuni per lo sviluppo economico regionale»,
aveva attuato una nuova suddivisione delle aree in cui promuovere lo sviluppo
all'Ovest e all'Est nel periodo 1997-1999. L'intenzione era di ridurre
le sovvenzioni nei nuovi Länder, e, per contro, di estendere i territori
all'Ovest dal 20,8% al 22% della popolazione. La Commissione europea
bloccà il progetto e approvà soltanto nuove possibilità
di sovvenzioni per Berlino Ovest, miranti a evitare l'emigrazione di imprese
nella zona circostante del Brandeburgo[82].
Originariamente la Commissione europea aveva persino minacciato di avviare
un cosiddetto «procedimento prioritario di verifica» allo scopo
di limitare le aree di sviluppo al 18% degli abitanti all'Ovest e al contempo
aveva annunciato di voler collaborare in futuro allo Aufbau-Ost.
La complessa e problematica trasformazione dei settori industriali
dei nuovi Länder, dunque, non solo ha coinvolto maggiormente la politica
occupazionale e sociale, e quindi il governo federale, nello Aufbau-Ost,
ma sempre di più anche la Commissione europea, specie nell'impostazione
e concessione di misure di incentivazione della politica industriale. Il
governo federale, e in seguito anche i governi dei nuovi Länder, hanno
trattato direttamente con la Commissione europea per la concorrenza su
ogni problema di primaria importanza. Nel corso della ricostruzione
industriale dell'Est si è cosi formato un nuovo issue network intergovernativo,
nel quale una retorica dell'economia di mercato e lo sforzo di raggiungere
decisioni concordate a livello europeo sulle politiehe di sovvenzione,
si mescolavano a un atteggiamento di fondo forzatamente pragmatico.
Accanto ai processi di innovazione riguardanti gli incentivi all'occupazione,
le relazioni industriali o l'intemazionalizzazione della proprietà
industriale, questo fatto è avvenuto in modo quasi impercettibile,
anche se da esso potrebbero essere derivate nuove vie rieche di prospettive
per una futura politica industriale.
Ueuropeizzazione della politica concorrenziale e della Strukturpolitik,
del resto, finora non ha avuto effetti negativi sul Modell Deutschland
paragonabili a quelli provocati dall'unificazione.
Benchè ogni esperienza di trasformazione abbia mostrato la
rilevanza di forme di ordinamento settoriale come presupposto dell'allineamento
Est-Ovest, queste sono a rischio proprio nella Germania Orientale.
Associazioni, sindacati, Camere e sistemi normativi, senza i quali un transfer
istituzionale non sarebbe stato possibile, all'Est non potranno sopravvivere
immutati. Il modello occidentale postbellico caratterizzato da un'organizzazione
produttiva fondata sul-l'autoregolazione ad opera di associazioni professionali,
relativamente unitaria e inquadrata entro istituzioni integrative, si trova
a un bivio[83].
Se la responsabilità principale, o addirittura l'unica, di
questa situazione sia da attribuire alla globalizzazione, intesa come vulnerabilità
di economie nazionali di fronte al mercato mondiale, pare molto dubbio
per due motivi. In primo luogo il Modell Deutschland definisce un
procedimento di gestione cooperativa dei conflitti volto espressamente
a favorire la competitività internationale e a ripartire i costi
di adeguamento che ne risultano in modo socialmente sopportabile[84].
In Olanda analoghe strategie di consenso hanno perrnesso un'efficace soluzione
della crisi: qui la continuità nella cooperazione tra imprenditori,
sindacati e stato ha perinesso di mantenere l'aumento dei salari al livello
più basso entro l'Unione europea, nonchè di conservare la
pace sociale grazie ad un'Alleanza per il lavoro (modello olandese), che
includeva la riforma dei sistemi di sicurezza sociale[85].
Anche in Svezia la globalizzazione non è riuscila a scuotere le
saide fondamenta del locale modello socioeconomico, nonostante in quel
caso i requisiti per l'adeguamento e le condizioni fiscali fossero peggiori
che nella RFT[86] In Germania, invece,
non e stato più possibile realizzare l'Alleanza per il lavoro, proposta
dalla IG Metall e sostenuta dal govemo federale, a causa della già
avanzata erosione dei meccanismi di regolazione dei conflitti, di crescenti
asimmetrie nella struttura di interazione corporatistica, e dello straordinario
peso dei problemi[87].
Mentre i problemi di adattamento al mercato mondiale sono noti da
tempo e strategie che per gli anni Novanta promettevano successi nei campi
della polifica fiscale, sociale e distributiva nell'ambito istituzionale
del Modell Deutschland[88] furono discusse
prima dell'unificazione[89], l'erosione
dei suoi fondamenti istituzionali è in rapporto diretto con la politica
di unificazione. Oltre ai citati processi nell'ambito della regolazione
dei conflitti industriali, del finanziamento dell'industria e dei sistemi
di produzione, il maggiore ostacolo a un ultenore sviluppo del modello
tedesco-occidentale e costituito dalla dualizzazione dell'economia, prodottasi
malgrado grandi sforzi politici ed economici. Le differenze nella
capacità produttiva tra le due Gennanie sono troppo grandi perch6
si possa avviare un processo di politica neocorporatista. La via
tedesco-occidentale, mirante all'omogeneità delle condizioni di
vita e a una gestione consensuale dei conflitti ehe comprenda tutti gli
interessi, non appare più percorribile soprattutto per questo motivo.
A livello politico cià diverrà chiaro soltanto tra
qualche tempo, ma nell'economia e nella società i segnali sono inequivocabili.
Mentre in Germania Orientale i consigli di azienda, utilizzando
clausole di apertura, concordano livelli retributivi molto al di sotto
di quelli contrattuali, il consiglio della Daimler-Benz si è vantato
nel 1997 di avere ottenuto una garanzia di occupazione fino al 2001, aumenti
salariali superiori a quelli contrattuali e un generoso sistema di gratifiche.
Nell'epoca d'oro del Modell Deutschland i lavoratori della Daimler scioperavano
perche fossero cancellati gruppi a basso salario, ehe peraltro non esistevano
più in questa azienda. Essi perb scioperavano per solidarietà
con gli operai mal organizzati delle piccole e medie imprese. Questa alleanza
solidale presente un tempo nel modello tedesco-occidentale, oggi chiaramente
non esiste più. E non si potrebbe più mantenere neppure
se gli attori politici interessati facessero tutti gli sforzi possibili.
La aziendalizzazione delle relazioni industriali determina una eterogeneizzazione
delle condizioni di vita ehe non puà più essere compensata
da una redistribuzione secondaria nell'ambito della politica sociale.
La politica di unificazione non ha soltanto prodotto una struttura
economica dualistica, ma ha pure accentuato le disuguaglianze sociali.
Nel 1992 la quota degli oneri causati dall'unificazione (imposte e contributi
assicurativi) sui redditi familiari ammontava al 2,5% (680 DM al mese)
per quelli della fascia superiore, mentre per i redditi inferiori alla
media ammontava al 3,5%. Nel 1994 la percentuale era salita rispettivamente
al 4,8% e al 5,7%[90]. Per i
gruppi a reddito piu alto la quota reale risulta ancora più bassa
se le detrazioni speciali per l'Est, esistenti dal 1991 e causa di minori
entrate fiscali per più di 10 Mr. DM all'anno, vengono computate
ad essi come incremento di denaro e di patrimonio.
All'interno del paese, l'aggiramento del pagamento di imposte tramite
detrazioni speciali è uno dei motivi principali della crisi fiscale
dello stato. Le minori entrate fiscali determinate dall'unificazione
sono infatti di gran lunga supenori alle perdite provocate dalla globalizzazione,
dalla concorrenza fiscale internazionale e dall'evasione fiscale.
Esse sono prevalentemente il risultato delle detrazioni speciali concesse
per lo sviluppo dell'Est, e dell'ascesa verficale della disoccupazione
di massa. A partire dal 1996 il gettito proveniente da tipi di imposte
aggirabili attraverso trasferimenti sull'estero addirittura nuovamente
in crescita, mentre quello originato da salari e redditi interni diminuisce
costantemente. Solo i rimborsi determinati dalle detrazioni dalle
imposte sul reddito tra il 1992 ed il 1996 sono cresciuti da 22 a 41,5
Mr. DM, con conseguente riduzione dell entrate fiscali[91].
La Bundesbank attribuisce la responsabilità di questo principalmente
a detrazioni speciali del 50% sugli investimenti nei nuovi Länder,
delle quali è stato fatto largo uso[92],
mentre la perdita fiscale causata dalla disoccupazione si colloca al secondo
posto. In questo senso le finanze statali sarebbero meno vulnerabili
se la tassazione proportionale del lavoro non fosse aumentata continuamente
da decenni, mentre la quota delle varie imposte è diminuita dal
24% del gettito fiscale complessivo del 1980 all'attuale 11 %. Benché
vi siano interpretazioni di diverso tenore, si pur affermare che le detrazioni
speciali indotte dall'unificazione, la disoccupazione di massa e i servizi
sul debito pubblico relativi al fondo di ammortamento sui lasciti ereditari
avviati nel 1995, provochino un buco nelle casse dello stato molto maggiore
di quello generato dalle conseguenze di una globalizzazione che, si presume,
proprio in questo periodo inizia in misura massiccia.
Il gettito delle imposte pagate dalle persone giuridiche sui propri
ricavi tra il 1996 e il 1997 di nuovo aumentato, mentre quello risultante
dalle tasse su salari e redditi drammaticamente diminuito dal 1995[93],
soprattutto a causa della disoccupazione di massa.
La dimensione degli oneri e la evidente asimmetria nella loro redistribuzione
si possono mantenere, all'intemo di un sistema di consenso politico quale
quello rappresentato dal Modell Deutschland, probabilmente solo per un
periodo limitato e a condizione che i fondamenti istituzionali del modello
rimangano intatti. La tradizionale politica econornica e contrattuale,
che salvaguardava il settore produttivo delle esportazioni, al contempo
creava redditi adeguati nei settori econornici più deboli, e garantiva
la compensazione ad opera della politica sociale dei costi sociali di una
modemizzazione economica forzata[94]
, non è più realizzabile nelle condizioni di un'econonùa
dualistica e con le casse statali vuote.
Non è stata quindi la globalizzazione a mettere in crisi
il modello tedescooccidentale. Esso piuttosto è diventato
vulnerabile ad influssi esterni allorchè all'interno i suoi presupposti
funzionali si sono indeboliti.
Se si considerassero soltanto i dati economici della Germania Ovest
e le riforme non eccessivamente pesanti del sistema sociale, l'omogeneità
e la base materiale di distribuzione, presupposto del modello tedesco-occidentale,
sarebbero senz'altro sufficienti a continuare sulla via finora seguita.
La rivista "Industry and Innovation", in un numero speciale dedicato all'evoluzione
del modello tedesco negli anni Novanta, mette in evidenza come la Germania
Occidentale, per la sua struttura industriale, la sua capacità di
innovazione, di produzione flessibile e di alta qualità, oltreché
per l'elevata produttività, non sia per nulla retrocessa nella graduatoria
economica mondiale[95]. Al contrario:
dopo l'unificazione ampie parti dell'industria tedesco-occidentale hanno
aumentato i propri utili e quote di esportazione, nonche il numero dei
brevetti. Non è la globalizzazione, ma la situazione nella
Germania Orientale a rendere necessario un cambiamento di rotta, poichd,
a causa sua «altri progetti di portata storicamente inferiore alla
unificazione non possono più essere finanziati»[96].
Se l'unificazione tedesca possa introdur-re un cambiamento di rotta
salutare mantenendo al contempo elementi fondamentali del Modell Deutschland
meritevoli di essere conservati, dipende, tra l'altro, dall'esattezza della
diagnosi dei problemi. Solo se i problemi deteminati dall'unificazione
vengono riconosciuti come tali, possono anche essere risolti. Chi
li analizza in modo errato perde le chances della crisi. È incontestabile
che l'unificazione tedesca tiservi ancora delle opportunità, anche
se una buona parte di esse dopo sette anni sembra orrnai perduta.
Uopportunità più grande consisteva nel fare all'Est molte
cose meglio che all'Ovest. Invece il modello tedesco-occidentale
è stato trasposto senza riflettere in un ambiente nuovo, e con problemi
diversi. Oggi la Germania e integrata sul piano politico-istituzionale,
ma divisa economicamente. Il riconoscimento del fatto che le due Germanie
costituiscono due spazi economici con strutture, problemi e alternative
radicalmente differenti, è giunto tardi. Esso viene spesso
minimizzato nella retorica politica e le sue conseguenze sottovalutate.
Questo riconoscimento pur essere doloroso, ma costituisce il presupposto
fondamentale del successo di ogni politica di integrazione e costruzione
rivolta al futuro[97].
Solo su questa base nei nuovi Länder possono nascere strutture
autonome e migliori, con la possibilià di imporsi in futuro, in
un processo di transfer istituzionale di segno inverso, anche all'Ovest.
Nota a piè di pagina
*Fonte: Roland Czada, Der Vereinigungsprozess.
Wandel der internen und externen Konstitutionsbedingungen des Westdeutschen
Modells, in Georg Simonis (Hrg.), Deutschland nach der Wende - neue Politikstrukturen,,Opladen,
Leske+Budrich, 1998, pp. 55-86. Versione leggermente abbreviata.
1. Intervista in “Die Zeit”, 9 maggio
1997, p. 19.
2. Cfr. W. Riester, W. Streeck,
Solidarität, Arbeit, Beschäftigung. Beiträge zur Schwerpunktkommission
Gesellschaftspolitik beim Parteivorstand der SPD, S.1.1 1997.
3. Cfr. W. Streeck, German
Capitalism: Does it exist? Can it survive2, in "New Political Economy",
1997, n. 2, pp. 237-256.
4. Statistisches Bundesamt, Statistisches
Jahrbuch für die Bundesrepublik Deutschland, Stuttgart, Metzler-Poeschel,
1996, p. 641. Nel 1991 il Pil ammontava a 40.780 DM pro capite nell’ex-territorio
federale, a 11.700 DM nei nuovi Länder inclusa Berlino Est, e a 34.990
DM nel territorio complessivo della Germania. (cfr. Statistisches
Bundesamt 1995, p. 655, BMWi 1996, tab. 3.2.2). In alcune pubblicazioni
l’Ufficio federale di statistica dissimula questo dato indicando per l’ex
territorio federale le serie temporali del Pnl pro capite in prezzi del
1985 non gonfiati dall’inflazione. Per l’intera Germania e per i
nuovi Länder, invece, in prezzi del 1991. Cfr. Statistisches
Jahrbuch 1993, tab. 24.2. In tal modo lo sviluppo del Pil e del Pnl pro
capite, dopo la svolta storica del 1990, appare ininterrotto.
5. Nel 1989 il paese della Comunità
Europea con il Pil pro capite più alto era il Lussemburgo, seguito
dalla RFT' (Statistisches Bundesamt 1992, p. 163; calcolato sulle parità
del potere d’acquisto in base al corso dei cambi attuale). Nel 1991
la Germania era scesa al sesto posto, dopo l’Italia, e nel 1992, in seguito
a oscillazioni del corso dei cambi, era risalita al quinto, prima dell’Italia
e dopo la Danimarca (Statistisches Bundesamt 1993,. p. 160). Nell’Unione
Europea allargata a Svezia, Finlandia e Austria, la RFT occupava l’ottavo
posto; nella graduatoria europea complessiva, comprendente paesi ricchi
ma non membri dell’Unione, come Svizzera e Norvegia, la produttività
economica pro capite riusciva ancora a raggiungere il decimo posto; nel
complesso di tutti i paesi dell’Ocse (con Giappone, Stati Uniti, Canada)
il dodicesimo (cfr. Statistisches Bundesamt, Statistisches Jahrbuch für
das Ausland, diversi anni; OECD, National Accounts Statistics, diversi
anni).
6.
Cfr. R. Czada, Konsensbedingungen und Auswirkungen neokorporatistischer
Politikentwicklung, in “Journal für Sozialforschung”, 1983, n. 23,
pp. 421-440; Id., The impact of interest politics on flexible adjustment
policies, in H. Keman, H. Paloheimo, P.F. Whiteley (eds.), Coping with
the Economic Crisis. Alternative Responses to Economic Recession in Advanced
Industrial Societies, London-Beverly Hills, Sage, 1987, pp. 20-53; P. Katzenstein,
Corporatism und Change: Austria, Switzerland, and the Politics of Industry,
Ithaca, New York, Comell University Press, 1984; Id., Small States in World
Markets: Industrial Policy in Europe, Ithaca, New York, Cornell University
Press, 1985.
7.
I problemi della repubblica di Weimar, costituitasi anch’essa inizialmente
sulla base di un modello consensuale (si ricordino la creazione della “Comunità
centrale di lavoro” tra associazioni imprenditoriali e sindacati, il cosiddetto
“accordo Stinnes-Legien e l’elaborazione della stessa Costituzione), provocati
dal pagamento delle riparazioni, non sono paragonabili all’attuale situazione
politica ed economica nazionale e intemazionale. Tuttavia le risposte
politiche alle fughe di risorse e alla restrizione degli spazi distributivi
sono simili, specie per la politica fiscale e sociale. Cfr. M.G. Schmidt,
Sozialpolitik in Deutschland.. Historische Entwicklung und internationaler
Vergleich, Femstudienkurs 3903, Institut für Politikwissenschaft,
Femuniversität Hagen, 1997, pp. 46-59.
8.
La cifra riguarda soltanto i costi “sociali” dell’unità, quindi
i trasferimenti dall’Ovest all’Est meno gli investimenti per la ricostruzione
pubblici o finanziati pubblicamente. Al debito pubblico, indotto dall’unificazione,
pari a ca. 650 Mr. DM per il periodo 1990-1996 vanno aggiunte perdite fiscali
provocate da detrazioni speciali su investimenti nei nuovi Länder
(30 Mr. DM. già nel 1994). Cfr. H.H. Hartwich, Die Entwicklung der
deutschen Staatsverschuldung seit der Wiedervereinigung, in “Gegenwartskunde”,
1997, n. 46, p. 215; Bundesbank, Die Entwicklung der Staatsverschuldung
seit der deutschen Vereinigung, in “Monatsberichte der Deutschen Bundesbank"”
marzo 1997, pp. 17-32, S. Bredemeier, Die finanzwirtschaftliche und geldpolitische
Dimension der Einheit, in B. Rebe, F.P. Lang (Hrg.), Die unvollendete Einheit,
Hildesheirn, Olms, 1996, pp. 169-192. In questo periodo sono stati
complessivamente trasferiti nei nuovi Länder fondi pubblici per un
ammontare netto (escluse le assicurazioni sociali con i vecchi debiti della
RDT) di 1.200 Mr. DM. A seconda degli anni, dalla metà ai
due terzi di questa somma sono confluiti nei consumi (cfr. Bundesbank
Öffentliche Finanztransfers für Ostdeutschland in den Jahren
1991 und 1992, in “Monatsberichte der Deutschen Bundesbank”, marzo 1992,
p. 20; S. Bredemeier, Die finanzwirtschaftliche.... cit., p. 186). I vecchi
debiti ereditati dalla RDT (debito pubblico, debiti rimessi, debiti di
imprese rilevati nei fondi di liquidazione dei crediti oppure rifinanziati
dalla THA, debiti dell’edilizia abitativa e di istituzioni sociali dei
comuni) ammontavano a 177 Mr. DM (cfr. H.H. Hartwich, Die Entwicklung....
cit., p. 216) il 15% (65 Mr. DM) dei rimanenti investimenti promossi
pubblicamente, secondo criteri di economia di mercato, si può considerare
male indirizzato. Cfr. S. Bredemeier, Die finanzwirtschaftliche..., cit.,
p. 186. Non restano quindi che poco più di 300 Mr. per investimenti
che abbiano contribuito al rafforzamento del settote industriale e allo
sviluppo di una base per le esportazioni dell’Est.
9.
Cfr. G. Lehmbruch, Dilemmata verbindlicher Einflußlogik im Prozeß
der deutschen Vereinigung, in W. Streeck (Hrg.), Staat und Verbände,
Opladen, Westdeutscher Verlag, 1994, pp. 370-392; Id., Die Rolle der Spitzenverbände
im Transformationsprozeß: Eine neo-institutionalistische Perspektive,
in R. Kollmorgen, R. Reißig, J. Weiß (Hrg.), Sozialer Wandel
und Akteure in Ostdeutschland, Opladen, Leske & Budrich, 1996, pp.
117-146; R. Czada, G. Lehmbruch (Hrg.), Sektorale Transformationspfade
in Ostdeutschland, Frankfurt M., Campus, 1997.
10.
In numerosi contributi G. Lehmbruch ha analizzato i problemi del «trasferimento
del repertorio direzionale corporatistico» nei nuovi Länder,
scoprendo fenomeni di erosione in paticolare nell’ambito dei rapporti di
lavoro e della capacità di autoorganizzazione di associazioni di
vertice (cfr. per esempio G. Lehmbruch, Dilemmata verbindlicher Einflußlogik,
cit.; Id., Rolle der Spitzenverbände..., cit.).
11.
A quegli anni risale l’elaborazione di concetti chiave quali «mediazione
neocorporatista» degli interessi e «economicizzazione materiale»
della politica Cfr. J. Esser, W. Fach, G. Simonis, Grenzprobleme des “Modell
Deutschlands”, in “Prokla”, 1990, n. 40, pp. 40-63; A.S. Markovits, Introduction:
Model Germany - A cursory overview of a complex construct, in Id. (ed.),
The Political Economy of West Germany: Modell Deutschland, New York, Praeger,
1982.
12.
Questo aspetto venne analizzato soprattutto in alcuni dei primi contributi
teorici sul neocorpomdsmo, specie da autori come G. Lehmbruch e, pur con
differenziazioni F.W. Scharpf. Cfr. G. Lehmbruch, Liberal Corporatism and
Party Government, in “Comparative Political Studies”, 1977, n. 10, pp.
91-126; Id., Concertation and the Structure of Corporatist Networks, in
J. Goldthorpe (ed.), Order and Conflict in Contemporary Capitalism, Oxford,
New York, Oxford University Press, 1984, pp. 60-80. Scharpf descrive il
Modell Deutschland come un network interattivo specifico, costituito principalmente
da sindacati, governo federale, Bundesbank e imprenditoti. Cfr. F.W. Scharpf,
Sozialdemokratische Krisenpolitik in Europa. Das “Modell Deutschland im
Vergleich. Frankfurt M.,,Campus, 1987.Cfr.ancheR.Czada, Konsensbedingungen
und Auswirkungen.... cit.
13.
Cfr. J. Esser, W. Fach, W. Väth, Krisenregulierung. Zur politischen
Umsetzung ökonomischer Zwänge, Frankfurt M., Caunpus, 1983.
14.
Cfr. J.L. Campbell, J.R. Hollingsworth, L. Lindberg (eds.), Governance
of the American Economy, Cambridge, Cambridge University Press, 1991; G.
Lehmbruch, Die Rolle der Spitzenverbände.... cit. 11 dibattito è
collegabile a quello sviluppatosi intorno agli anni Sessanta in cui venne
ripreso il concetto di «capitalismo organizzato» per spiegare
aspetti della politica industriale settoriale nella fase della ricostruzione.
Cfr. A. Shonfield, Modern capitalism. The chaning balance of Public
und Private Power, London, Oxford, New York, Oxford Un. Press, 1965;
(tr. it., Milano, Etas Kompass, 1967).
15.
Cfr. W. Müller-Jentsch (Hrg.), Zukunft der Gewerkschaften: Ein
internationaler Vergleich, Frankfurt M., Campus, 1988.
16.
Il Meistersystem deriva dalla tradizione delle corporazioni medioevali
(Meister = mastro o capo, n.d.c.) ed è parte del “sistema duale”
di formazione professionale tipico della Germania. Esso viene definito
in tal modo perchè la formazione avviene collegando il lavoro nell’impresa
con la frequenza a tempo parziale di una scuola professionale statale.
Alla formazione nell’impresa possono accedere solo coloro che dispongono
di un attestato (Meisterbrief) rilasciato dalle camere per l’Industria
e l’Artigianato, anche in questo caso dopo un periodo di formazione e relativa
prova finale. Nel campo dell’artigianato, i Meister di norma sono anche
titolari di un’impresa artigiana piccola o media, mentre nell’industria
spesso hanno una mansione di caporeparto nel settore della produzione.
In quanto parte del livello medio del management, essi quindi hanno una
funzione di cerniera tra la direzione e i lavoratori addetti alla produzione,
i quali, nel caso svolgano mansioni qualificate, o, comunque siano operai
specializzati (Facharbeiter), a loro volta hanno seguito un analogo percorso
formativo “duale”. In Germania Est questa tradizione venne interrotta.
Qui inoltre, dopo la riunificazione l’organizzazione della produzione nelle
nuove fabbriche non si basa più sul Meistersystem, ma sui teams
di produzione, i cui rappresentanti, tra l’altro, tendono a entrare in
competizione sia con i Meister tradizionali, che con i fiduciari sindacali.
17.
Questa parte del dibattito venne fortemente influenzata dagli studi di
sociologia industriale. Cfr. W. Streeck (Hrg.), Social Institutions
and Economic Performance: Industrial Relations in Advanced Capitalist Economies,
London-Beverly Hills, Sage, 1992; Id., Lean Production in the German Automobile
Industry: A Test Case for Convergence Theory, in S. Berger, R. Dore (eds.),
National Diversity and Global Capitalism, Ithaca, New York, Comell University
Press, 1996.
18.
Cfr. M. Wegner, Die deutsche Einigung oder das Ausbleiben des
Wunders. Sechs Jahre danach: Eine Zwischenbilanz, in “Aus Politik und Zeitgeschichte”,
1996, n. 40, pp. 13-23.
19.
Cfr. R. Czada, Der Kampf um die Finanzierung der deutschen Einheit,
in G. Lehmbnd (Hrg.), Einigung und Zerfall. Deutschland und Europa
nach dem Ende des Ost-West Konflikts, Opladen, Leske & Budrich, 1995,
pp. 73-102.
20.
H. Heinelt, M. Weck, Die Arbeitsmarktpolitik nach der Vereinigung. Vom
Vereinigungskonsens zur Standortdebatte, DFG-Forschungsprojekt, Abschlußbericht,
Hannover, Institut für Politische Wissenschaft, 1997.
21.
H. Eggert, Die Entwicklung der Verwaltung in den neuen Länder, in
H. Hill (Hrg.), Erfolg im Osten, Baden-Baden, Nomos, 1994, Bd. 111,
pp. 17-31.
22.
R. Czada, Der Kampf um die Finanzierung.... cit., p. 73; Bundesbank, Öffentliche
Finanztransfers für Ostdeutschland in den Jahren 1991 und 1992, in
"Monatsberichte der Deutschen Bundesbank", 1992, n. 3, pp. 15-22.
23.
Bundestags-Drucksache 13/5370.
24.
0. Riess, Die Politik der deutschen Einigung. Sektorale Transformationspolitik
am
Beispiel der Rentenüberleitung, Magisterarbeit, Femuniversität
Hagen, Fachbereich Erziehungs-, Sozial- und Geisteswissenschaft, 1997,
pp. 76-86. Cib si deve tra l'altro al fatto che la quota meda complessiva
di pension; pagate alle donne nella Germania Orientale e superiore a quer
dell'Ovest (nel 1996, 1.352,35 DM contro 1. 106,16; nel 2000 1.469,76 DM
contro 1. 192,72). La quota maschile giä nei prossimi anni ad
Est sarà superiore (nel 2000 si prevede un impegno di 1.956,18 DM
a Est contro 1879,46 a Ovest). 1 contributi esatti dipendono da adeguamenü
annuali delle pensioni fittizi, ma le proporzioni Est-Ovest rimangono uguali
sulla base della struttura di, etä della popolazione e dei periodi
lavorativi giä trascorsi (i dati sono tratti da Rentenversicherungsbericht
der Bundesregierung 1996, Bundestags-Drucksache 13/5370, p. 82).
25.
Secondo calcoli di esperti, tra il 1996 e il 2010 dovranno essere trasferiti
a beneficiali di pensioni nei nuovi Länder complessivamente 317,3
Mr. DM. tratti da eccedenze dei conüiw occidentali (Rentenversicherungsbericht
der Bundesregierung 1996, Bundestags-Druck" 13/5370, p. 69).
26.
Bundesbank, Öffentliche Finanztransfers für Ostdeutschland....
cit., p. 20.
27.
Nel 1990 la percentuale degli oneri sociali sul Pil era il 15,8, nel 1996
era già salita al 18,7
(fonte: Institut der deutschen Wirtschaft, Ministero federale delle
Finanze).
28. Intervista a Paul Hadrys, del
settore Finanze della THA, del 6 aprile 1994.
29. Nel rapporto annuale del SVR
per il 1989-90 si suggerisce di richiedere un aumento sala-
riale per consentire anche ai lavoratori di fruire dei benefici derivanti
dalla crescita degli utili avvenuta negli anni precedenti. Il SVR sostiene
che si debba far notare ai lavoratori che la moderazione salariale alla
fine ha pagato, perché cosi in futuro essi «accetteranno piuttosto
accordi salariali orientati all'aumento della produttività».
Cfr. SVR, Weichenstellungen für die neunziger Jahre. Jahresgutachten
des Sachverständigenrates zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen
Lage, Stuttgart, Metzler-Poeschel, 1989, p. 166. In questo caso il SVR
si dimostra un sostenitore della pratica dello scambio neocorporatistico.
30. Nei primi anni dopo l’unificazione
vi furono due aumenti delle imposte sugli oli minerali, e uno delle imposte
sulle assicurazioni. A ciò si aggiunsero una "sovrattassa
di solidarietà" (Solidarzuschlag), introdotta dapprima a scadenza
linütata, poi diventata illimitata, pari al 7,5% del debito d'imposta,
e ulteriori aumenti dell’imposta sul valore aggiunto, sul tabacco e sul
metano.
31. La politica di alti tassi d’interesse
seguita allora era lo strumento per determinare un’inversione di tendenza
fondamentale nel bilancio del movimento dei capitali. Nel 1988, per via
dell'introduzione di una nuova imposta sui proventi da interessi sui capitali,
si registrò la punta massima di esportazione di capitali nella storia
della RFI: 120 Mr. DM finirono all'estero.
32. Nei calcoli dei circoli economici
tedeschi all'Unione Sovietica era riservato un ruolo centrale. Diverse
grandi imprese, che tradizionalmente avevano buoni rapporti con l'Urss,
erano giä ad uno studio molto avanzato di cooperazione e in molti
settori produttivi e nella progettazione di siti economico-industriali
nell'area del Mar Baltico, allorch6 lo stato sovietico crollä e con
esso vennero a mancare i sostenitori di tali progetti esistenti al suo
interne. L'impressione e quindi che l'economia tedesca abbia valutato
erronearnente le condizioni politiche intemazionali nelle quali erano avvenute
la riunificazione e il crollo del socialismo, nel momento in cui ritenne
che le strutture dell'ordine sovietico, la cui azione risultava relativamente
calcolabile, avrebbero mantenuto la loro capacitä di tenuta.
33. M.G. Schmidt, Sozialpolitik
in Deutschland.... cit.
34. Bundesbank, Die Entwicklung
der Staatsverschuldung seit der deutschen Vereinigung, in
"Monatsberichte der Deutschen Bundesbank', marzo 1997, pp. 17-32; H.H.
Hartwich, Die Entwicklung.... cit., pp. 213 e 215.
35. Cfr. K. Armingeon, Neokorporatistische
Einkommenspolitik, Frankfurt M., Lang, 1983.
36. R. Czada, The impact of interest
politics on flexible adjustment policies, in H. Keman, H. Pa-
loheimo, P. F. Whiteley (eds.), Coping with the Economic Crisis.
Alternative Responses to Economic Recession in Advanced Industrial Societies,
London, Sage, Beverly Hills, 1987, pp. 20-53.
37. G. Lehmbruch, Corporatism,
Labour, and Public Policy, International Sociology Association World Conference,
Symposium 11, in "Social Policies in Comparative Perspective", Uppsala,
ISA, 1978.
38. Si vedano K. Armingeon, Neokorporatistische
Einkommenspolitik..., cit.; P. Lange, G. Garett, The Politics of Growth:
Strategic Interaction and Economic Performance in the Advanced Industrial
Democracies, 1974-1980, in "The Journal of Politics", 1985, n. 47, pp.
792-827; F.W. Scharpf, Sozialdemokratische Krisenpolitik..., cit.; R. Czada,
Konsensbedingungen und Auswirkungen..., cit.; Id., The impact of interest
politics.... cit.
39. Ph. Schmitter, Neokorporatismus:
Überlegungen zur bisherigen Theorie und zur weiteren Praxis, in U.
von Alemann (Hrg.), Neokorporatismus, Frankfurt M., Campus, 1981, pp. 75-77.
Cfr. anche J. Esser u.a., Das "Modell Deutschland" und seine Konstruktionsschwächen,
in 'Leviathan", 1979, n. 1, pp. 1 - 1 1; J. Esser, W. Fach, E. Simonis,
Grenzprobleme des "Modell Deutschland"..... cit.
40. G. Lehmbruch, Dilemmata verbindlicher
Einflußlogik..., cit.
41. Cfr. anche il saggio di W.
Reutter e P. Rütters.
42. F.0. Gilles, H.H. Hertle, J.
Kädtler, "Wie Phönix aus der Asche?". Zur Restrukturierung
der industriellen Beziehungen in der chemischen Industrie auf dem Gebiet
der ehemaligen DDR, in N. Beckenbach, W. van Treeck (Hrg.), Umbrüche
gesellschaftlicher Arbeit, in "Soziale Welü', 1994, Sonderband n.
9, p. 585.
43. Ibidem; cfr. anche R.
Czada, Die THA im Umfeld von Politik und Verbànden, in W. Fischer,
H. Hax, H.K. Schneider (Hrg.), Treuhandanstalt. Das Unmögliche
wagen, Berlin, Akademie, 1993, pp. 148-173.
44. Tale strategia non fu esente
da contestazioni. Ad uno sguardo retrospettivo perb emerge che tra
la caduta del Muro e l'inizio dell'unione economica e monetaria, ovvero
le dimissioni di Reiner Maria Gohlke dalla presidenza della THA, il numero
dei fautori della trasformazione della DDR in un'area di bassi salari,
con alcune zone in cui promuovere l'economia tramite incentivi statali,
si ridusse costantemente. Analogamente a quanto avvenne in altri
campi politici, anche in questo caso si potd osservare come le iniziali
considerazioni oggettive e interessi particolari al mantenimento, peraltro
ampiamente caldeggiato, delle modalità tradizionali di problemsolving
finirono per convergere. Cib valeva anche per il coordinamento istituzionale
dell'economia.
L'evoluzione in campi quali la politica finanziaiia, sanitaria, scolastica,
energetica e altri ancora è stata pure oggetto di analisi.
Cfr. R. Czada, G. Lehmbruch (Hrg.), Sektorale Transformationspfade
in Ostdeutschland.... cit.
45. Si tratta di un contratto ehe
regola i vari gradi del progressive allineamento dei salari orientali a
quelli dell'Ovest.
46. Vereinigung kostet die
Bundesbürger den Zehnten, "Süddeutsche Zeitung", 19, febbraio
1990, p. 21.
47. L'aumento dei redditi da un
quarto a due terzi del livello occidentale, equivale a piü di un raddoppio
dei redditi dell'Est. 1 redditi dell'Ovest, posti su una base del 100%,
vengono in tal modo gravati del 40%. Se si ripartisce questo 40%
sui percettori di reddito dell'Ovest, che sono circa quattro volte piü
numerosi, ne deriva per ognuno di loro un carico del 10%. Se tramite
questa ripartizione, il salario reale all'Ovest si riducesse di percentuale,
la differenza con l'Est diminuirebbe ulteriormente; ne risulterebbe un
90% per 1'Ovest rispetto ad un 65% per l'Est, rispetto a un fittizio, reddito
precedente del 100% all'Ovest. Cfr. Vereinigung kostet...,
cit., p. 21.
48. K. Lichtblau, Privatisierungs-
und Sanierungsarbeit der Treuhandanstalt, Köln, Institut der deutschen
Wirtschaft, 1993, p. 35.
49. SVR, Weichenstellungen für
die neunziger Jahre. Jahresgutachten des Sachverständigenrates
zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Lage, Stuttgart, Metzler-Poeschel,
1989, p. 166.
50. Secondo il prof. Michael
Kittner, consulente legale della IG Metall, esso si basava proprio su un
accordo politico tra le parti, il quale prevedeva che la THA dovesse fomire
alle propne aziende i mezzi necessari per far fronte agli impegni, poichè
queste non eraio ancora in grado di pagare i salaii con le proprie risorse.
Cfr. "Handelsblatt", 16, febbraio, 1993.
51. Questo per alleggerire la spesa
pubblica. La IG Metall, in risposta alla posizione del THA, aveva
sottoposto al ministero federale delle Finanze, nella sua qualitä
di istanza di controllo, una lettera di protesta rimasta senza risposta
(intervista a Dieter Schulte, allora vicepresidente della IG Metall e membro
dei Consiglio di amministrazione della THA, del 27 gennaio 1993).
52. W. Schroeder, Industrielle
Beziehungen in Ostdeutschland: Zwischen Transformation und Standortdebatte,
in "Aus Politik und Zeitgeschichte", 1996, n. 40, p. 28.
53. Cfr. W. Ettl, A. Heikenroth,
Strukturwandel, Verbandsabstinenz, Tarifflucht: Zur Lage der
Unternehmen undarbeitgeberverbände im ostdeutschen verarbeitenden
Gewerbe, in "Industrielle Beziehungen", 1996, n. 3.
54. Deutsches Institut für
Wirtschaftsforschung (DIW) u.a., Gesamtwirtschaftliche und unter-
nehmerische Anpassungsfortschritte in Ostdeutschland. 13. Bericht,
Institut für Weltwirtschaft, l(iel, 1995, p. 47.
55. Ibidem; W. Schroeder,
Industrielle Beziehungen in Ostdeutschland.... cit., pp. 32-33; W. Ettl,
A. Heikenroth, Strukturwandel, Verbandsabstinenz, Tarifflucht.... cit.
56. Secondo sondaggi svolti dall'Institut
der Deutschen Wirtschaft all'inizio del 1995. Cfr. Deutsches
Institut für Wirtschaftsforschung u.a., Gesamtwirtschaftliche und
unternehmerische Anpassungsfortschritte in Ostdeutschland. 13. Bericht,
IGel, Institut für Weltwirtschaft, 1995, p. 47. 57, W. Schroeder,
Industrielle Beziehungen in Ostdeutschland... cit., p. 34.
57. W. Schroeder, Industrielle
Beziehungen in Ostdeutschland..., cit., p. 34.
58. Cfr. W. Streeck, Ph.
C. Schmitter, From National Corporatism to Transnational Pluralism: Organized
Interests in the Single European Market, in "Politics & Society", 19,
199 1, n. 2, pp. 133164.
59. Cfr. G.B. Herrigel, Industrial
Order and the Politics of Industrial Change: Mechanicai Engineering, in
P. Katzenstein (ed.), Industry and Politics in West Germany: Toward the
Nrd Republic, Ithaca, New York, Cornell University Press, 1989, pp. 185-220.
60. Interviste a Herrmann Wagner,
Direzione delle partecipazioni della THA, del 22 marzo 1993 (intervista
propria) e del 24 luglio 1992 (trascrizione autorizzata. Gruppo di
ricerca THA).
61. Ibidem. Naturalmente
vi erano anche delle pecore nere. La direzione collegiale della THA
ebbe soprattutto da rappresentanti dei lavoratori le indicazioni decisive
per la scoperta di intenzioni disoneste e di piani per arricchirsi a spese
delle aziende della Treuhand. Un irnportante deputato del Bundestag
e docente di scienza politica dovette cedere il proprio posto quando si
scopri ehe aveva richiesto alti compensi per perizie irrilevanti; cosa
ehe, peraltro, non ha per ora danneggiato il prosieguo della sua carriera
a livello europeo. La destituzione di mernbri del Consiglio di sorveglianza
seguendo le procedure del diritto societario tedesco, e estremamente difficoltosa.
Senza la stretta cooperazione inforrnale tra la THA e i lavoratori, comprese
le centrali sindacali e i loro rappresentanti nel Consiglio di amministrazione
della THA, simili operazioni non sarebbero state realizzabili evitando
di ricorrere ai mezzi della giustizia penale. Ibidem. Occorre
perb segnalare ehe l'intervistato eui devo queste informazioni in seguito
ha lasciato la THA in quanto sospettato di truffa.
62. Questa era in linea di principio
la posizione del presidente della THA Rohwedder, a cui attribuito anche
il conio della parola d'ordine: «Nessun banchiere nel Consiglio di
sorveglianza». Intervista a Hermann Wagner del 24 luglio 1992.
63. Intervista a Hermann Wagner
del 22 marzo 1993.
64. Op. cit.
65. 11 dato e conferrnato da 47
interviste svolte su incarico del "Gruppo di ricerca THA".
66. Cfr. R. Czada, G. Lehmbruch
(Hrg.), Sektorale Transformationspfade in Ostdeutsch-
land..., cit.
67. Institut für Angewandte
Wirtschaftsforschung (IAW), Schlußbilanz - DDR. Fazit einer
verfehlten Wirtschafts- und Sozialpolitik, Teil 1: Die SED und ihre "ökonomische
Strategie" in der Nach- Ulbricht Zeit, Berlin, 1990, p. 98.
68. F.0. Gilles, H.H. Hertle, "Wie
Phönix aus der Asche?...... cit., p. 58.
69. Nel 1989 la produttività
nell'industria meccanica dell'Est ammontava al 52% di quella dell'Ovest;
nella produzione di acciaio raggiungeva il 30%, nell'industria chimica
in media il 31%, nella raffinazione degli oli minerali solo il 9%.
Cfr. B. Görzig, Produktion und Produktionsfaktoren für
Ostdeutschland. Kennziffern 1980-1991, in "DIW. Beiträge
zur Strukturforschung", 1992, n. 135, p. 129.
70. Cfr. R. Czada, G. Lehmbruch
(Hrg.), Sektorale Transformationspfade in Ostdeutschland.... cit.
71. Cfr. il saggio di W. Reutter
e P. Rütters (n.d.c.).
72. Cfr. M. Knuth, Drehscheiben
im Strukturwandel. Agenturen für Mobilitäts-, Arbeits-
und
Strukturförderung, Sigma, Berlin, 1996.
73. Intervista a Wolf Schöde
delle relazioni esterne della THA, del 25 febbraio 1993.
74. Dati relativi a settori con
il più alto calo dell'occupazione nel periodo indicato. Essi'non
sono comparabili con esattezza per le differenze nella definizione dei
settori e nei metodi di rilevazione tra Est ed Ovest e tra i singoli rami.
Fonti: per l'agricoltura Est: Statistisches Arnt der DDR, Statistisches
Jahrbuch für die Deutsche Demokratische Republik, Berlin, Haufe, 1990,
p. 36; Servizio pubblico: H. Wollmann, Institutionenbildung in Ostdeutschland:
Neubau, Umbau und schöpferische Zerstörung, in Max Kaase u.a.,
Politisches System - Berichte zum sozialen undpolitischen Wandel in Ostdeutschland,
Bd. 111, Opladen, Leske & Budrich, 1996, pp. 98, 99, 104; Statistisches
Bundesamt, Statistisches Jahrbuch für die Bundesrepublik Deutschland,
Stuttgart, Metzler-Poeschel, diverse annate. Al fine della massima
omogeneità sono stati utilizzati il più possibile dati dell'Ufficio
federale di Statistica, anche se altre fonti contengono dati più
dettagliad. Cosi l'Institut der Deutschen Wirtschaft (lW) riporta dati
sull'occupazione nei settori della meccanica e dell'elettrotecnica ehe
nel caso dei nuovi Länder divergono da quelli dello Statistisches
Bundesamt. Cfr., IW, Zahlen zur wirtschaftlichen Entwicklung der
Bundesrepublik Deutschland, Köln, Deutscher Instituts-Verlag, 1992,
1994. Secondo lo stesso Istituto, nel 1993 nel settore meccanico
dei nuovi Länder non rimanevano ehe 38.300 occupati. La divergenza
si deve al fatto ehe lo IW non include nel computo i lavoratori delle Società
per l'occupazione.
75. Cfr. H. Heinelt, M. Weck,
Die Arbeitsmarktpolitik nach der Vereinigung..., cit.
76. B. Görzig, Produktion
und Produktionsfaktoren für Ostdeutschland..., cit., p. 129.
77. Nel consiglio di amrainistrazione,
nella direzione, e tra i dirigenti della THA, vi erano solo raramente dei
tedeschi dell'Est. invece il 27% dei capisezione proveniva dal servizio
pubblico c dai Kombinate della DDR. Un terzo dei collaboratori di
questo livello proveniva dall'econoèa occidentale, il 12% dal servizio
pubblico della RFf, il resto era costituito da persone al pfim impiego,
membri di organizzazioni sociali o soggetti provenienti da altri settori.
Cfr. R. Czada, Der Kampf um die Finanzierung.... cit., p. 313.
78. L'analisi dei campi politici
(Politikfeldanalyse), ha messo in luce chiaramente sia la me vole influenza
delle costellazioni degli attori sulla percezione e definizione dei problemi,
sia fl ruolo determinante dei vincoli inforrnali che danno l'impronta a
ogni altro provvedimento. Sulb definizione dei problemi e sul repertorio
operativo degli attori e delle associazioni impegnad nello Aufbau-Ost,
cfr. G. Lehmbruch, Die Rolle der Spitzenverbände.... cit.
79. M.C. Ensser, Sensible Branchen.
Die Integration ostdeutscher Schlüsselindustrien in die Europäische
Gemeinschaft. Eine Prozeßanalyse über die Transformation
des Schiffbausektors,
Dissertation, Fakultät für Verwaltungswissenschaft, Universität
Konstanz, 1996, pp. 46-65.
80. R. Czada, Die Treuhandanstalt
im Umfeld von Politik und Verbänden.... cit., p. 15 1.
81. Nel settore degli oli minerali
questo conflitto fu particolarmente marcato. Lo sviluppo, soste-
nuto dalla THA e da investitori lungimiranti, di nuove capacità
nella raffinazione invece della costruzione di un oleodotto all'Est, incontrb
l'opposizione dell'industria degli oli minerali tedescooccidentale la quale
giä prima dell'unificazione aveva problenii di sovrapproduzione che
avrebbe potuto risolvere con il rifomimento dei nuovi Länder.
La promessa del cancelliere di mantenere i auclei dell'industria chinüca
significava invece la necessità di una base autonoma di materie
prima. Questa alla fine fu creata con un contratto di privatizzazione
che prevedeva la partecipazione del èppo petrolifero francese Elf-Aquitaine
e il parziale finanziamento statale di una raffineria.
82. Cfr. Bonn und Brüssel
erzielen Kompromiß im Streit um die Regionalförderung, in "Süddeutsche
Zeitung", 14, novembre, 1996.
83. Cfr. S. Casper, Automobile
Supplier Network Organisation in East Germany: A Challenge to the German
Model of Industrial Organisation, in "Industry and Innovation", 1997, n.
4, pp. 9811 3; Id., S. Vitols, The German Model in the 1990s: Problems
and Prospects, in ivi, p. 1 0.
84. Cfr. J. Esser u.a., Das
"Modell Deutschland" und seine Konstruktionsschwächen..., cit.; A.S.
Markovits, Introduction: Model Germany - A cursory overview of a complex
construct, cit.; J. Esser, W. Fach, W. Väth, Krisenregulierung...,
cit.; F. Scharpf, Sozialdemokratische Krisenpolitik in Europa.... cit.
85. R. Kleinfeld, Das niederländische
ModelL Grundzüge und Perspektiven einer Modernisierung des Sozialstaates,
Landtag Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf 1997, studio effettuato su
incarico della commissione d'inchiesta del Landtag della Renania del Nord-Westfalia
sul "Futuro del lavoro retribuito"; cfr. l'hearing sul modello olandese
svoltosi presso la commissione direttiva e per l'economia del Landtag del
Nordreno-Westfalia, del 12 giugno 1997, in "Landtag Intern", 18 giugno
1997, p. 14.
86. Cfr. M. Ryner, Globalization
and the Crisis of the Swedish Model, Phil. Diss., York University,
Faculty of Graduate Studies, 1996.
87. Cfr. G. Lehmbruch, The
Crisis and Institutional Resilience of German Corporatism, relazione al
convegno "Globalization and the new Inequality", novembre 1996, Università
di Utrecht, 1997.
88. Cfr. P.G. Schmidt, Soziale
Marktwirtschaft als wirtschaftspolitisches Leitbild - Genesis und Erfahrungen
des westdeutschen Weges, Mainz, Forschungsinstitut für Wirtschaftspolitik,
1991.
89. Cfr. SVR, Weichenstellungen
für die neunziger Jahre.... cit.
90. U. Heilemann u.a., Konsolidierungs-
und Wachstumserfordernisse. Fiskalperspektiven der Bundesrepublik
in den neunziger Jahren (Untersuchungen des Rheinisch-Westfälischen
Instituts für Wirtschaftsforschung, 14), Essen, RWI, 1994; S. Bredemeier,
Diefinanzwirtschaftliche cit., p. 186.
91. "Süddeutsche Zeitung",
14 agosto 1997, p. 21.
92. Ibidem.
93. Tra il 1995 al 1996 il gettito
proveniente dalle imposte sui salari e calato di 31 Mr. DM,
quello dai redditi imponibili solo di 1 miliardo. 11 gettito proveniente
dalle imposte sulle società e
aumentato nello stesso periodo di 1 1 Mr. DM. Cfr. "Bundesbank
Monatsberichte", 1997, n. 7, p. 55. Come di fronte a cib si sia potuto
evocare to spettro della globalizzazione in rapporto alla crisi fiscale,
e piuttosto sorprendente.
94. Cfr. J. Esser et.al.,
Das "Modell Deutschland" und seine Konstruktionsschwächen.... cit.
95. D. Soskice, German Technology
Policy, Innovation, und National Institutional Frameworks, in "Industry
and Innovation", 1997, n. 4, pp. 75-96; S. Casper, S. Vitols, The German
Model in the 1990s: Problems and Prospects.... cit.; C. Matraves, German
Industrial Structure in Comparative Perspective, in "Industry and Innovation",
1997, n. 4, pp. 38-5 1.
96. H. Mundorf, Die Deutschen müssen
den Preis für die Wiedervereinigung bezahlen, "Handelsblatt", 14 agosto
1997, p. 2.
97. Così già K. Biedenkopf,
Die neuen Bundesländer. Eigener Weg statt "Aufholjagd", in W.
Dettling (Hrg.), Perspektiven für Deutschland, München, Knaur,
1994, pp. 62-78.